“Nutri la tua paura”.
L’agente speciale Will Graham (Hugh Darcy) è un abilissimo profiler del FBI, le cui grandi capacità analitiche sono ulteriormente rafforzate da una sorta di dono, una capacità di entrare in profondissima affinità empatica con i soggetti delle proprie investigazioni e ricostruire mentalmente le dinamiche dei loro orrendi crimini seriali. Un dono che è anche e soprattutto una maledizione che non concede un attimo di tregua a Will, trascinandolo sempre più spesso in una dimensione a metà tra il reale e l’allucinatorio. E per questo rifugge da quasi ogni forma di socialità umana, preferendo di gran lunga la compagnia dei cani randagi che recupera dalla strada.
Quando l’agente Jack Crawford (Laurence Fishbourne) chiede espressamente la sua consulenza nella caccia a un serial killer responsabile della scomparsa di diverse studentesse di college, Will capisce immediatamente di trovarsi di fronte a una mente criminale decisamente più brillante e complessa di quelle cui è solito dare la caccia. L’agente Crawford decide così di fare ricorso a un ulteriore aiuto, quello del rinomato psichiatra forense Hannibal Lecter (Mads Mikkelsen): Il dottore, immediatamente coinvolto nel lavoro sul campo a fianco dell’agente Graham, manifesta subito sveltezza di pensiero e capacità manipolatorie fuori dal comune. E un interesse nei confronti della geniale e tormentata mente di Will le cui finalità sono ancora tutte da decifrare…
E’ forse superfluo sottolineare quanta curiosità – e diffidenza – siano sorte intorno all’ultimo progetto di Bryan Fuller (Dead Like Me, Star Trek: Voyager, Heroes) sin dal momento del suo annuncio, vuoi per la fisiologica allergia che il pubblico di aficionados prova nei confronti di ogni rielaborazione dei propri beniamini, vuoi soprattutto perché nel comune sentire quella di Hannibal Lecter era una saga che a livello cinematografico aveva raggiunto il grado massimo di sfruttamento, coinciso non a caso con il più debole episodio della serie, quell’Hannibal Rising di Peter Webber fattosi carico della non indifferente responsabilità di far luce sugli anni della formazione del cannibale più celebre del grande schermo, riuscendo ad affogare la scintillante, labirintica purezza della sua malvagità nel più vendibile patetismo mainstream. Ma le vie del tv serialism sono infinite, non ancora del tutto battute e soprattutto decisamente più libere dai vincoli di continuità – basti pensare al recente corto circuito temporale di Bates Motel – che il grande schermo è obbligato a imporre ai propri progetti.
Cronologicamente, questo Hannibal si posiziona prima degli eventi narrati in Red Dragon e della caccia all’uomo che vide Will Graham sulle tracce del dott. Lecter, ma secondo una continuità nuova di zecca sia rispetto a quando narrato nel romanzo che a quanto raccontato nella pellicola di Brett Ratner: se nel primo infatti risulta evidente come prima del manhunt che li vide coinvolti l’agente speciale e il cannibale mai ebbero occasione di incontrarsi, la pellicola testimonia una collaborazione pre-arresto tra i due nel caso del Minnesota Shrike, il serial killer di studentesse universitarie Garrett Jacob Hobbs che appare proprio nel primo capitolo di questa serie. Che poi la serie sia ambientata ai giorni nostri e a non fine anni ’70 come Red Dragon è una contraddizione resa del tutto innocua dalle nuove regole della continuity tv alla cui fluidità in molti dovranno presto abituarsi.
Decisamente incentrata sulla costruzione della tormentata figura dell’agente Graham, cui Hugh Darcy (King Arthur) riesce a conferire una palpabile sensazione di tormentata fragilità, tutta la prima metà dell’episodio d’apertura potrebbe essere vista come una dichiarazione d’intenti piuttosto esplicativa di quello che sarà il mood generale della serie: ben lontana dalla sonnacchiosa schematicità delle molte crime series che infestano il piccolo schermo, dietro al paravento griffato FBI Hannibal lascia sfuggire frammenti di quella che probabilmente è la sua vera natura, un profondo e vertiginoso drama umano in fieri, striato di – molto e mai occultato – sangue ed efferatezze , potentissimi momenti di onirismo le cui metastasi si iniziano appena ad intuire non appena fa la sua entrata in scena il tanto atteso dott. Lecter.
Lieve, vellutato eppure così dannatamente immanente, il convincente Mads Mikkelsen (Valhalla Rising, Casino Royale) che entra con grande discrezione in scena è certo più un placido refolo di vento che una devastante tempesta tropicale, capace di infilarsi sinuoso nelle pieghe della vicenda con una naturalezza pari solo alla propria indiscussa genialità criminale: più sottilmente luciferino e meno immediato dell’immenso Lecter di Anthony Hopkins, L’Hannibal di Mikkelsen rappresenta un deciso ma necessario cambio di direzione nella costruzione, anche visuale, del cannibale per antonomasia.
A certificare ulteriormente che Hannibal sarà una questione a due o quasi, lo spazio lasciato agli altri, pochi comprimari – un imbolsito Laurence Fishbourne su tutti -, davvero ridotto al minimo indispensabile, mentre la dottoressa Alana Bloom (Caroline Dhavernas), da l’impressione di aver qualcosa da dire nonostante i pochi instanti che le vengono concessi in questo primo episodio. La strada scelta da Fuller e dal suo team creativo è sicuramente di quelle più complicate: rivedere un gigante della cinematografia e dell’immaginario collettivo seguendo la via della complessità delle sue componenti, scommettendo sulla maturità narrativa del prodotto e di conseguenza su quella del proprio pubblico, piuttosto che vincere facile buttandola nella solita, facile caciara idolatrica. E per quanto ci riguarda, non ci potrebbe essere aperitivo più stuzzicante.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.