Dean Koontz è sempre Dean Kootz. Persino nella terza e già stanca scorribanda di una serie, Frankenstein, che vende copie a tonnellate ma non sa entusiasmare.
Frankenstein – Le creature della notte riparte dalla conclusione del volume precedente, La città dei dannati, riportando il lettore alla vigilia dello scontro campale tra Il dottor Victor Frankenstein e la sua creatura, il celeberrimo mostro. Solo che il primo si fa chiamare Victor Helios, il secondo è conosciuto, ma da pochissimi, come il gigantesco Deucalion e a fare da cornice alla battaglia non sono la vecchia Europa o il ghiaccio perenne, bensì la languida e misteriosa New Orleans. E di mezzo c’è un esercito di creature mutanti, tutte prodotte nei laboratori hitech di herr doctor, programmate per sterminare la razza umana, ma al momento votate a una più urgente causa, liberarsi dal giogo del padre-padrone. Unici rappresentanti della vecchia razza in grado di portare un contributo reale alla lotta per la sopravvivenza del genere umano sono due simpatici e cinici detective della squadra omicidi. Si chiamano Carson O’ Connor e Michael Maddison e, tra orribili mostri centimani e creature nate dal brodo primordiale di acido desossiribonucleico e spazzatura, non rinunciano al piacere dell’ironia e dalla conversazione brillante. Ragion per cui non possono fare a meno di amarsi e noi non possiamo esimerci dall’adorarli.
Sarebbero i perfetti protagonisti di una commedia brillante d’altri tempi, un genere che ha fatto la fortuna della vecchia Hollywood ma che non premia, alla lunga, una fiction fanta-horror. Ammesso che Le creature della notte possa essere considerata tale. Eliminando la sovrastruttura monster&co e priva dell’aura mitologica dell’Immortale (che è poi il titolo italiano del primo volume della trilogia) figlio del tuono creato da Mary Shelley, l’opera di Koontz si riduce a un abile montaggio di scene d’azione e dialoghi sfiziosi. Un po’ pochino per un autore con tanta penna da riempire le pagine di almeno dieci colleghi e un curriculum vitae capace di toccare ogni codice del meraviglioso e del perturbante.
Resta il sospetto che quella che è stata presentata come una gloriosa impresa di rivisitazione di un classico – un atto d’amore nei confronti dell’originale – sia naufragata sul nascere in una operazione “alimentare” (per dirla, elegantemente, alla maniera di un altro corsaro dei generi, Lucio Fulci). Un corteggiamento del lettore mainstream in cerca di piccoli brividi che non ha niente da offrire all’amante dell’oscurità.
E nell’attesa dell’inevitabile quarto episodio, l’interrogativo resta quello che ci assilla fin dall’uscita de L’immortale: c’era davvero bisogno di “risvegliare” Frankenstein?
About SelenePascarella
Selene Pascarella è nata a Taranto nel 1977. Si è laureata alla Sapienza di Roma 23 anni dopo, con un tesi dedicata a Mario Bava, Lucio Fulci e i maestri dello spaghetti horror dal titolo "Estetiche di morte nel cinema dell'orrore e del fantastico".
Giornalista per professione e per vocazione si occupa di cinema, tv, narrativa di genere e cronaca nera. Nel 2011 ha pubblicato, assieme a Danilo Arona e Giuliano Santoro, il saggio "L'alba degli zombie. Voci dall'apocalisse: il cinema di George Romero" (Gragoyle). Tra il 2012 e il 2013, Maya permettendo, ha curato il format 2.0 DiarioZ_Italia per Multiplayer.it.
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