The Corridor

La rimpatriata di un gruppo di amici viene sconvolta dalla presenza di uno strano corridoio nei boschi in questo piccolo ma ambizioso scify canadese

Tyler, in stato di shock dopo aver trovato la madre morta per overdose da farmaci, ferisce i suoi amici e viene internato. Anni dopo, uscito dall’ospedale psichiatrico, Tyler raduna i vecchi compagni nella casa nei boschi dove si vedevano da piccoli per disperdere le ceneri della madre e ricostruire l’amicizia di un tempo. Nei boschi vi è però qualcosa, una sorta di luogo dagli strani poteri, un corridoio appunto, che sconvolgerà le menti degli amici di Tyler trasformando il weekend in tragedia. Una sorta di “una notte da leoni scritto da Richard Kelly” per citare il nostro Andrea K. Lanza, questo onesto fantahorror canadese dai pochi mezzi (vedere gli effetti speciali nella scena iniziale) e dalle grandi ambizioni ricorda infatti i soliti film in cui un gruppo di amici si ritrova per il weekend distruttivo fatto di alcool e vecchi ricordi (come non pensare a Il Grande freddo o sul versante più horror al kingiano L’acchiappasogni), ma il tutto frullato con momenti allucinanti che rimandano volontariamente o meno al fantatrip Donnie Darko appunto.

Non è detto che ciò sia un bene in effetti: l’ambientazione nei boschi innevati del Canada è affascinante come anche la delineazione dei rapporti fra gli amici, il confrontarsi delle loro vite/carriere, i fallimenti e la voglia di ricucire il rapporto con il disturbato Tyler, funziona tutto bene fin quando non facciamo il nostro ingresso insieme ai protagonisti nel “corridoio”: da questo momento in poi, nonostante il crescendo delirante con gradevoli momenti gore (v. la scena dello scalpo), sembra si sia puntato solamente a frastornare lo spettatore con elementi inspiegabili, spunti ambivalenti e carneficina totale, scegliendo poi la via di fuga sempre utile di non spiegare nulla nel finale. Spesso questa scelta non è un problema, contribuisce di solito ad aumentare il fascino nei confronti della storia, ma non è questo il caso: si percepisce la mancanza di coesione tra gli spunti portati e ciò penalizza un po’ l’impressione finale sulla pellicola. Non è il non sapere cosa sarà mai questo corridoio il problema (un flusso di energia scaturito dalle onde dei ripetitori nei boschi? Un varco spazio-temporale-mentale? Un’entità aliena con il bisogno di collegarsi alle nostre menti? Un prolungamento della psiche malata di Tyler?), il vero guaio è che forse nemmeno chi ha scritto la storia aveva le idee chiare e quindi si è preferito lasciare tutto nel mistero.

Detto ciò vanno comunque rintracciati dei meriti a un film che, pur nella povertà di mezzi, riesce a giocare con la curiosità e la suspense, nonché a divertire nella seconda fase degenerante, regalando bei momenti di tensione e qualche spunto originale (le medicine che prende Tyler paradossalmente lo rendono immune dalla follia che colpisce i suoi amici). E’ una pellicola che trasuda amore per il cinema, per un certo tipo di film di una volta che evidentemente ha influenzato il regista Evan Kelly e che pur avendo appunto grosse ambizioni cerca di restare con i piedi per terra. Una nota di merito va anche agli interpreti in grado di ricreare quell’atmosfera di rimpatriata che chiunque col proprio gruppo di amici prima o poi ha provato: nonostante un make up imbarazzante (vedere la testa pelata di Bob) i cinque sono credibili nelle sfaccettature dei caratteri dei loro personaggi. Siamo di fronte quindi a un tentativo forse non del tutto riuscito di fantahorror lowbudget che va comunque premiato nelle intenzioni e per la bella atmosfera ricreata: si astengano dalla visione gli amanti delle storie lineari e del ritmo concitato perché potrebbero restare delusi, ben vengano coloro invece che amano lasciarsi trasportare senza porsi troppe domande

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