STRANE FERITE – Stefano Fantelli

Strane ferite, strane storie, strani personaggi popolano il mondo di Stefano Fantelli – autore già noto per le sue antologie “Alla fine della notte”, “Dark Circus” e per la graphic novel “El Brujo Grand Hotel”, e ora alla sua prima impresa con un romanzo.

Sullo sfondo di un’apocalisse schizzoide e allucinata, Fantelli racconta con episodi brevi, frammentati, un misto di pagine di diario, riflessioni, poesie e canzoni, le vite parallele di sei personaggi,  strutturando, con uno stile estremamente giovane e impregnato di cultura underground, una visione corale della fine del mondo.

Daria, Alice, Elvis, Fabrizio, Valentina, Maya Murna: questi i personaggi principali di “Strane ferite”. Creature al “limite”: della vita, della follia, del verosimile. Personaggi intrisi principalmente di delusione, amore e solitudine, e di cui l’orrore sembra essere l’inevitabile specchio. Le loro storie, ognuna abbozzata con frasi secche, tese ad aumentare la tensione e l’impalpabile natura dell’incubo che permea le pagine di questo romanzo, si sfiorano, s’incrociano, si fondono in una tipica atmosfera apocalittica, densa di buio, di assurdo, di bizzarro e di perdita di punti di riferimento.

Mescolando dettagli horror da manuale (gli spazi chiusi, la malattia, la follia, l’omicidio crudele) e deliri fantascientifici dal forte impatto metaforico (i vermi grassi e neri venuti dallo spazio evocano indubbiamente molto più di un’immagine cinematografica), l’autore non disdegna di arricchire la sua narrazione anche di citazioni autoreferenziali e reminescenze personali (Brujo, il minibus del Dark Circus, alcuni dettagli del suo varipinto passato così come li possiamo apprendere leggendo le sue biografie online), senza dimenticarsi di pescare a piene mani nell’immaginario più fosco, per quanto a volte un po’ stereotipato, della cultura giovanile, della musica, del cinema, riuscendo anche a non tralasciare sentimenti più “umani” come la solitudine e l’amore e reinterpretandoli in chiave nettamente “dark”.

Ha le sue carte da giocare, Fantelli, e sa come maneggiare la materia, indubbiamente complici il suo background artistico, emotivo e personale. Sa come concatenare gli anelli della trama per tenerci incollati alle pagine per capire, mi si permetta il gioco di parole,  di che morte stiamo morendo. Ogni episodio di questa delirante storia è come la famosa ciliegia del cesto: una tira l’altra.

Seguiamo la spirale narrativa in cui l’autore ci immerge, aspettando forse un finale risolutivo che non arriva: resta infatti un “the end” assai aperto, che abbonda in ironia e apre perfino uno spiraglio di luce su un mondo che sembrava dover finire nel nulla, come se in fondo, con queste 200 agili pagine, ci fossimo solo affacciati un momento nel vuoto del Wasteland evocato dal personaggio di Valentina, ma non ci fosse dato sapere quale sia la vera fine, né se ne esista davvero una.

In questo Stefano Fantelli si rivela un interessante outsider, senza regole, senza metodo, senza messaggi, emotivo, spontaneo, violento e virulento, a nostro avviso forse con uno stile ancora un po’ da personalizzare, liberandolo da certi “luoghi comuni” del genere per farlo suonare così più spontaneo. E allora torneremo ad immergerci con entusiasmo nei labirinti fantelliani – tra l’assurdo e il troppo umano, e in quel nero pece che ricopre tutto.

 

 

 

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