Hellraiser, capolavoro horror complesso e spesso incompreso, è splendida opera prima di Clive Barker, già eccelso scrittore e tratta dalla sua novella “Schiavi dell’Inferno”.
Tra piacere e dolore che si fondono e sottotesti ramificati, si schiude a noi l’universo dei Cenobiti, dominati da Pinhead, figura solenne, temibile e ieratica. Hellraiser, primo lungometraggio diretto dallo scrittore Clive Barker dopo i corti Salome (1973) e The Forbidden (1978), tratto dal suo racconto The Hellbound Heart (Schiavi dell’Inferno, 1986), rappresenta un elemento atipico nel panorama horror anni ’80.
Se il personaggio di Pinhead è ormai annoverato tra i “nuovi mostri” del cinema di genere, in special modo in Gran Bretagna (paese d’origine di Barker e patria del film) e negli Stati Uniti, comparendo su magliette e gadgets di ogni tipo, vero è, d’altro canto, che la reale potenza e complessità di questa pellicola, per molti versi superiore allo scritto, non è mai stata compresa appieno dal grande pubblico, in special modo nel nostro Paese.
Troppo adulto per un’audience teenageriale, che è quella a cui, erroneamente, la distribuzione mira quando si parla di genere orrorifico, Hellraiser è stato apprezzato per il suo lato gore e splatter, peraltro non eccessivo, ma è rimasto nel limbo dei film non completamente metabolizzati, poiché la sua stratificazione di significati e riferimenti andava ben oltre il semplice effetto visivo ed è stata accolta soltanto da una nicchia di pubblico, che già conosceva le opere e le tematiche dell’autore o che era comunque più aperta a una tipologia filmica completamente diversa dai vecchi schemi. Clive Barker (nato a Liverpool nel 1952, dunque trentaquattrenne all’epoca della pubblicazione della novella che darà vita a Hellraiser) esordisce come scrittore nel 1984 col primo dei celeberrimi Libri di Sangue, antologie di racconti agghiaccianti, che hanno il dono di restare ancorati all’inconscio del lettore, caratteristica che diventerà palese nel successivo romanzo, The Damnation Game (Gioco Dannato, 1984), personalissima rilettura del mito di Faust. Fin da queste prime opere la cifra stilistica che ora definiamo “Barkeriana” è già intuibile, gettando dunque le solidissime basi di quella che diverrà la sua poetica nella letteratura horror (da non dimenticare, infatti, le incursioni dell’autore in altri generi, il fantasy in primis).
Schiavi dell’Inferno è una narrazione breve (164 pagine) e asciutta che tuttavia sortisce l’effetto di essere efficacemente descrittiva, delineando alla perfezione personaggi e contesti; Barker la rielabora in forma di sceneggiatura per la preparazione delle riprese del film, apportando cambiamenti sia per volere della produzione (ad esempio, nella parte finale: nello scritto, i Cenobiti si comportano in modo equo, mantenendo la promessa e lasciando andare Kirsty, mentre nel film continuano a volerla portare con loro), sia per renderla più funzionale alla forma filmica. Nella pellicola vediamo dei caratteri maggiormente a tutto tondo, privi delle sfumature presenti nel racconto, eccezion fatta per Julia (Clare Higgins), che, contrariamente alla donna bella e vagamente bamboleggiante di Prigionieri Dell’Inferno, dà al ruolo una qualità austera, crudele, una vera femme fatale schiava di una passione che la renderà mostruosa. La stessa Kirsty (Ashley Laurence) in Hellraiser riveste le tipiche caratteristiche dell’eroina positiva, in contrapposizione a Julia, venendo dunque privata delle ambiguità che la contraddistinguevano nello scritto Barkeriano.
Hellraiser è, come già detto in precedenza, opera complessa e non così immediata come potrebbe apparire. I Cenobiti (dal latino cenòbium, vita in comune) sono, nella realtà, monaci cristiani ortodossi le cui prime comunità risalgono al IV secolo, che vivono secondo una rigida disciplina; per Barker non fu dunque necessario spiegare, almeno in questo primo film, le origini di queste creature, poiché il loro nome disvela già molto: non è dunque azzardata l’ipotesi che l’autore abbia voluto donare ai suoi personaggi una caratteristica sacrale, considerandoli un vero e proprio ordine religioso, in questo caso di natura infernale, nel quale l’esplorazione delle sensazioni più estreme viene compiuta al fine di raggiungere uno stato di estasi suprema, che il Cristianesimo definirebbe beatitudine. Lo stesso personaggio di Pinhead (il memorabile Doug Bradley), sia nel libro che nel film non è indicato con questo nome: nel racconto, non è nominato, e non è figura di spicco rispetto agli altri Cenobiti, mentre nei titoli di coda di Hellraiser compare come “lead cenobite”. La denominazione di Pinhead nacque da un soprannome, che fu poi utilizzato nei sequel; Barker lo definì “indegno” e per i fumetti tratti dalle pellicole, pubblicati negli Stati Uniti dalla BOOM! nel 2011, utilizzò l’appellativo che aveva scelto nella prima fase di sceneggiatura: “Priest”, Prete, a sottolineare ulteriormente il carattere ieratico del personaggio.
L’entrata in scena dei Cenobiti, che ha luogo solo nell’ultima mezz’ora di narrato (nonostante compaiano, brevemente, già nell’incipit), è infatti meravigliosamente solenne, sottolineata da cupissimi rintocchi di campane, e appare realmente come qualcosa di sacro e temibile. Qui si ritrova, probabilmente, la differenza più notevole tra libro e opera visiva, ciò che rende la seconda superiore al primo: nel film, li vediamo, in tutta la loro terrificante bellezza. Le poche parole pronunciate da Pinhead sono sufficienti a svelarci la loro natura ambivalente (“demoni per alcuni, angeli per altri”), a raccontarci il loro Mondo, nel quale Piacere e Dolore si fondono fino a diventare una cosa sola.
La sofferenza come estasi suprema è tematica centrale, palese richiamo al sadomasochismo: non a caso, dopo il rifiuto da parte della produzione dell’utilizzo del medesimo titolo del libro, The Hellbound Heart, poiché suonava un po’ troppo romantico, Barker propose la dicitura, decisamente più forte, di “Sadomasochists from Beyond the Grave” (“I Sadomasochisti dall’Oltretomba”), rifiutata anch’essa per il contenuto sessuale eccessivamente esplicito. Dagli abiti in pelle e pvc dei Supplizianti/Cenobiti fino alle torture con ganci e catene, ogni cosa ha un sapore di sesso e dolore, piacere e patimento, tipica delle pratiche bdsm. Il rapporto tra Julia e Frank (Sean Chapman, viscidamente fascinoso) è proprio di tale natura, che vede lui in quanto elemento dominante e la donna dipendente in tutto e per tutto dalla sua volontà; è relazione ambigua, basata sull’attrazione sessuale e nata proprio alla vigilia delle nozze fra lei e Larry (Andrew Robinson), padre di Kirsty e vedovo della prima moglie; è una passione feroce e divorante per Julia, che non vede Frank da anni ma non ha mai smesso di pensarlo.
Un passo indietro, a questo punto, è d’obbligo per arrivare alle origini di ciò che rappresenta il cuore di Hellraiser: la scatola di Lemarchand o Configurazione del Lamento, oggetto-puzzle tramite il quale, una volta trovata l’esatta combinazione, si spalancano le porte della dimensione parallela (definita Inferno nel primo film, Labirinto nel secondo) abitata dai Cenobiti. La riuscita nella risoluzione dell’enigma è legata all’intensità del desiderio di venirne a capo, particolare che nella trasposizione filmica viene tradito poiché anche Kirsty, quasi casualmente, la schiude.
Hellraiser inizia in un luogo non precisato del Nord Africa, in cui vediamo Frank acquistare l’oggetto da un mercante asiatico; nell’inquadratura successiva, è nel solaio di una casa disabitata (che si rivelerà poi essere la dimora di Larry e Julia): nel momento in cui la puzzle box si muove, dei ganci affondano nella sua carne. Frank, dunque, resta sempre in quel luogo, seppur in una realtà altra: farà ritorno, completamente divorato dalle torture dei Supplizianti, grazie a qualche goccia di sangue di Larry, feritosi accidentalmente. Per tornare in forze necessita di altro plasma, e Julia inizia ad uccidere: dalla passione si passa quindi ad una forma di Amore deviato da parte della donna, nel quale lei è soltanto un tramite, usato da Frank per ottenere uno scopo ben preciso.
Ciò che il film non svela, a differenza del libro, è la motivazione che spinge Frank a impossessarsi della Configurazione del Lamento: l’uomo ha sperimentato ogni piacere terreno al punto di esserne saturo, e non può resistere a ciò che la scatola promette, ossia “piaceri inimmaginabili”. E’ questo dunque, che lo muove verso la dimensione Cenobita, che lo trascina al cospetto dell’idea di massimo godimento come tutt’uno con la più atroce delle sofferenze fisiche; essi stessi sono a loro volta perennemente suppliziati: i loro volti e corpi sfigurati (Chatterer, Butterball), oppure flagellati da spilli o altri strumenti di “deliziosa tortura” (Pinhead, la Cenobita Femminile).
Il concetto di sadomasochismo non è per tutti i palati, soprattutto se inserito nel contesto di un horror che la produzione e la distribuzione avrebbero voluto indirizzare a un pubblico giovane: Hellraiser è, per contro, un film profondamente adulto, non a caso scritto da una persona che aveva superato i trent’anni, e che da lì a poco, all’inizio degli anni ’90, avrebbe dichiarato pubblicamente la propria omosessualità, in un’epoca in cui l’ ”outing” non era ancora una moda bensì un atto coraggioso in una società moralista e bigotta. I preconcetti superficiali e pruriginosi si sono sprecati, ad esempio nell’affiancare la sua “diversità” (?) sessuale con la filosofia sadomaso presente nel film. Il significato, con tutta probabilità e come già accennato, è di natura più complessa e vicino a terreni teologico-religiosi: il concetto di sofferenza come strada verso l’estasi mistica è infatti presente non solo in culti (primitivi e non) di ogni parte del mondo, ma è palese nel Cristianesimo stesso, nelle figure dei martiri, e nelle auto-flagellazioni ancora oggi praticate da alcuni fedeli in cruente cerimonie di devozione estrema.
Il tema della diversità, che sarà preponderante in Cabal (Nightbreed, 1990) è comunque presente, non soltanto nelle figure dei Supplizianti, sommi sacerdoti del Dolore, dunque eletti, differenti poiché superiori, ma è evidente in Frank, individuo corrotto e lascivo, nauseato da ciò che la vita gli offre, desideroso di superare gli stretti confini di ciò che gli sta attorno. E’ ingordigia edonistica ciò che lo spinge a risolvere l’enigma della Configurazione del Lamento, brama che vedrà una punizione nelle torture che dovrà subire: c’è dunque qualcosa di un novello Prometeo in Frank, uomo che ha voluto spingersi troppo oltre per poi ritrovarsi a patire i supplizi inferti dai Cenobiti, qui strani e sinistri Dei.
La pellicola è stata realizzata con un budget relativamente ridotto (un milione di dollari), fattore che non ha influito sulla qualità degli effetti speciali (ad opera di Cliff Wallace e, non accreditati, Dave Chagouri e lo stesso Barker in veste di animatori) se non nelle scene finali, nel punto della lavorazione in cui i fondi erano esauriti e il regista e Chagouri hanno dovuto improvvisarsi nell’animazione, nel giro di un weekend e con abbondante alcool in circolo. La regia è abile, tenendo conto che Hellraiser è stato girato quasi interamente all’interno della casa, il che ha spinto Barker a dover essere creativo con le scarse risorse a sua disposizione: spesso c’era spazio per una sola macchina da presa, e questo spiega perché molte inquadrature siano riprese da un’unica angolazione; inoltre, il movimento in verticale era sovente l’unico possibile, ecco dunque le zoomate e il punto di vista dall’alto rispetto ai personaggi.
Com’è noto, lo score del film fu originariamente composto dalla band industrial dei Coil, e Barker era entusiasta del risultato. La produzione purtroppo lo rifiutò, optando per una musica più tradizionale composta da Christopher Young. Il lavoro dei Coil fu pubblicato come The Unreleased Themes For Hellraiser e a tutt’oggi è una rarità; le tracce create dalla band sono incredibilmente suggestive, rarefatte, dal sapore esoterico, in poche parole perfette per l’opera. Ascoltandole, chiudendo gli occhi, non si può far altro che immaginare il lento incedere dei Cenobiti ed essere percorsi da un brivido. Tuttavia, lo score di Young, per quanto non all’altezza dei magnifici suoni dei Coil, riesce a essere efficace: orchestrale, parte in sordina per poi esplodere in un magniloquente e sinistro crescendo, donando alle apparizioni delle creature una qualità magica ulteriormente accentuata.
Un aneddoto curioso riguarda la frase finale del film, pronunciata da un Frank (che “indossa” la pelle di Larry) dilaniato dai Supplizianti, mentre si lecca le labbra lascivo, davanti agli occhi di Kirsty: l’attore Andrew Robinson (Larry), convinse Barker a cambiarla rispetto alla sceneggiatura, che prevedeva un secco “Fuck You”, sostituendola con il più evocativo “Jesus wept” (“Gesù versò delle lacrime”). Nel doppiaggio italiano l’affermazione viene completamente stravolta, tramutandosi in “Sei riuscita a liberarti di me” : non è difficile immaginare i motivi dietro a quest’ennesimo obbrobrio dell’italico doppiare, sicuramente il nome di Gesù non era gradito in quel contesto, ed è inutile dire che risulta invece assolutamente coerente con uno dei sottotesti principali del narrato.
Hellraiser è, al pari della scatola di Lemarchand, oggetto che si schiude solo a chi vuole comprenderlo davvero, film enigmatico ed incompreso così come lo sarà Cabal: d’altronde, anche il mondo di squisiti piaceri e tormenti mostrato dai Cenobiti è privilegio di pochi, dunque ad essi ci abbandoniamo, paralizzati in una smorfia di sofferente godimento.
About Chiara Pani
Conosciuta anche come Araknex, tesse inesorabile la sua tela, nutrendosi maniacalmente di horror,musica goth e industrial e saggi di criminologia. Odia la luce del sole e si mormora che possa neutralizzarla, ma l’ interessata smentisce, forse per non rendere noto il suo unico punto debole. L’ horror è per lei territorio ideale, culla nella quale si rifugia, in fuga da un orripilante mondo reale. Degna rappresentante della specie Vedova Nera, è però fervente animalista, unico tratto che la rende (quasi) umana. Avvicinatevi a vostro rischio.