Ve l’avevamo preannunciato tra le nostre new entry, e l’appassionante lettura di questo volume non ha affatto deluso le aspettative.
“Il villaggio nero” del polacco Stefan Grabiński è un piccolo gioiello per palati fini e per tutti quelli che ogni tanto amano affondare a piene mani in quelle atmosfere più rarefatte ed originali che dobbiamo spesso andare a ricercare tra gli autori di uno o due secoli fa.
Non a caso definito “il Poe polacco”, Grabiński è stato generalmente alquanto bistrattato, nonostante l’elogio a lui tributato da autori del calibro di Thomas Ligotti, Stanislaw Lem e China Miéville. Difficilmente le sue opere hanno varcato i confini del suo paese: se ne contano infatti poche traduzioni in lingua inglese, mentre questa edizione è la prima di cui il nostro paese ha beneficiato.
Eppure le atmosfere di Grabiński non hanno niente da invidiare ai suoi contemporanei più noti (Poe in primis, appunto) essendo lo stesso parte di quel movimento culturale che tra la l’Ottocento e il Novecento sparse i semi del disagio interiore, dell’ignoto, dell’ossessione, della paranoia e dell’orrore più profondo ed imperscrutabile tra le limpide certezze del Progresso, della Rivoluzione Industriale e delle loro derivazioni.
I personaggi che costellano questa raccolta sono infatti solitari, tendenzialmente preda di passioni che sfociano nella psicopatia e nel metafisico, nonché spesso ignari testimoni di fugaci per quanto pregnanti e significative aperture spazio-temporali su mondi “altri”, la cui scoperta conduce purtroppo alla follia o alla morte.
In questa dinamica s’innesta la tematica del sesso, affrontata in modo spregiudicato pur senza discendere in dettagli scabrosi: una sete, quella sessuale, di cui i protagonisti maschili sono vittime, mentre donne defunte/demoni/vampire operano attraverso la carne una disgregazione mentale e metafisica dell’amante. Nessuna forma di “buon senso” sembra poterli salvare dall’abisso dell’inconscio e dell’ignoto che possono manifestarsi anche attraverso la consumazione di un amplesso.
Il linguaggio è retrò, indubbiamente. C’è un profondo gioco di detto e non detto. Si evocano spesso atmosfere e non dettagli. Ma la modernità delle tensioni grabinskiane è vibrante e perfetta. Nascono infatti, ed inevitabilmente, dallo scontro tra il progresso nelle sue più molteplici forme (tecnico, medico/scientifico, sociale, escatologico) e l’uomo che si affaccia ad un mondo nuovo, incapace di dimenticarsi che dentro di sé coesistono bisogni e “sostanze sottili” che tale progresso forse non può soppiantare, nutrire, comprendere.
Non possiamo che auspicare che testi così vengano sempre più spesso sottratti dall’oblio, pubblicati, commentati, diffusi e ovviamente letti. Noi pensiamo di avercela messa tutta per dirvi che “Il villaggio nero” merita ogni euro speso per averlo.
About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.
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