Richard Kelly si è arenato sulle note volutamente stonate geniali e perfette di Donnie Darko e imprigionato da quel contesto di metafisica unta di religiosità sacrale sembra un angelo dalle ali mozzate.
Con eccezione dell’action-drama Domino, scritto per Tony Scott nel 2005 (quando in Italia doveva ancora uscire il director’s cut di Donnie Darko in dvd), il buon Richard ha partorito in questa decade solo un gemellino ingombrante e costoso di nome Southland Tales – Così Finisce Il Mondo (2006). Deludente sfilza di titoli se si pensa al clamore suscitato dal suo primo lungometraggio, apripista attoriale per Jake Gyllenhaal e fulcro catartico di generazioni accavallate tra gli ’80 e i ’90, tra esistenzialismo di emarginazione cronica e protagonismo altezzoso di estrazione capitalistico/mediatica.
Ma veniamo alla scatolina di The Box, ideata nel 1970 da quell’altro genio della letteratura, Richard Matheson, sotto forma di racconto Button, Button e già ripresa in un mitico episodio degli ’80 de Ai Confini Della Realtà. L’ambientazione prettamente 70’s incupisce pesantemente la pellicola tinteggiandola di tonalità color ocra perfettamente amalgamate con la storia, il lento “passeggiare” delle immagini sembra stonare con l’ansiosa frenesia a cui siamo notoriamente abituati per tracciati filmici di questo genere. Cameron Diaz come non la si è mai vista prima aggiunge un tocco di drammaticità e sconsolatezza ideale (a causa anche di una fastidiosa menomazione al piede), James Marsden (visto in X-Men e Superman Returns) impersonifica con scrupolo il ruolo del maritino in carriera sospeso tra il vuoto di una esistenza comune e la profetica futuristica visione di una sconvolgente novità economica.
Questo piccolo focolare subirà presto degli scossoni “sismici” incontrollabili, portando la coppia ad affrontare una spirale di tepore/orrore sottopelle, dove la realtà è un cristallo pronto a frantumarsi in mille pezzi. Un bel giorno Norma e Arthur ricevono una piccola scatola di legno con un pulsante rosso da un signore che si presenta con il nome di Steward. Avranno solo ventiquattro ore di tempo durante le quali dovranno decidere se premere il pulsante o meno. Premerlo significherebbe far morire una persona che non conoscono ricevendo un milione di dollari, non premerlo lascerebbe le cose come stanno senza ricevere alcuna somma. La coppia dopo lunghe discussioni preme il pulsante ed il Sig. Steward come promesso porta loro una valigetta contenente il contante pattuito. In questo semplice, infimo e straniante contesto, la reazione degli esseri umani è al centro delle considerazioni pratiche di Matheson, intento ad elaborare pensieri e ansiose prese di coscienza. Le conseguenze di un’azione pacata e apparentemente “normale” sono capaci di stravolgere l’intero equilibrio individuale, le certezze si sgretolano, l’azione fuori sincrono, il paranormale ai confini del normale sono un muro contro cui sbattere la testa pesantemente sorretta da un corpo spossato. E’ la futilità della conoscenza a celebrare il lutto delle certezze, è la smania di soldi per il proprio benessere a muovere il mondo.
Tanta gente che non conosciamo muore là fuori e perché mai dovremmo farcene un problema se a questa morte (prima o poi inevitabile) corrisponde un lauto incasso monetario, oltretutto senza alcuna responsabilità diretta nell’omicidio? Ragionamenti convulsi, verità fantascientifiche ed episodi sincronici ovviamente sconvolgeranno lo scorrere del tempo, generando una spirale di emotività incontrollabile. Il regista insiste sull’opacità, sulla fragile lentezza degli eventi e crea scompiglio quando tocca argomenti metafisici che sconfinano nel buio del proprio “credo”. Questa caratteristica è una palla al piede ed è allo stesso tempo il suo più grande marchio di fabbrica, purtroppo lacerato da buchi di sceneggiatura volutamente inseriti per scomporre un puzzle altrimenti fin troppo semplice da elaborare. Questi limiti alterano il giudizio complessivo, Southland Tales – Così Finisce Il Mondo partiva da presupposti orgogliosi e magnificenti, The Box conclude sommessamente un trittico che tocca tutti gli aspetti più complessi dell’esistenza senza definire al meglio cosa significhino presi uno ad uno. Una confusione confusionaria che a differenza del Maestro David Lynch non ci fa scoprire l’intimità inconscia del proprio Io con la semplice stimolazione visiva/sonora, semmai la ribalta come farebbe con una testuggine, mostrandoci il vero volto ed oscurando la strada per la comprensione.
La Fanucci Editore, approfittando di questa uscita cinematografica, ha rieditato The Box e altri racconti come già fece per Duel e altri racconti, canalizzando il mondo di Matheson in un unico tomo, con la speranza di disperderne l’essenza alla prima lettura. Un’ottima raccolta per comprendere la fragilità delle cose attorno a noi.
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