Barry Levinson alle prese con un horror ecologico in stile mockumentary che mescola ansie e paure dei nostri tempi
Il 4 luglio 2009 un disastro sconvolse la vita di una piccola località di villeggiatura del Maryland, Claridge affacciata sulla baia di Chesapeake. Nel 2012 la giovane Donna Thompson è di fronte ad uno schermo pronta a rendere pubblici i fatti accaduti quel giorno grazie anche alle immagini e a tutto il materiale digitale raccolto da un sito di controinformazione e confluito in un documentario
Il punto di partenza del film di Levinson è abbastanza chiaro: siamo di fronte ad un mockumentary bello e buono, l’atmosfera è pesante sin da subito, si percepisce dalle parole della ragazza ancora sconvolta, ma il fatto stesso di sapere che lei sia sopravvissuta ai fatti non implica che ci sia meno tensione nello sviluppo del racconto. Non è il caso però di dilungarsi troppo sullo svolgimento della storia, una parte interessante è appunto scoprire, seguendo le varie fasi dell’inchiesta documentaristica, cosa abbia causato l’epidemia e la morte di tutte quelle persone in festa nella cittadina di Claridge.Ciò che è spicca in questo modesto horror ecologico è l’accuratezza nello stile e l’aver giocato bene con lo strumento (abusato in questi anni) del found footage: non si ha infatti più un solo punto di vista con la solita videocamera sbatacchiata qua e là, ma il racconto emerge dalla molteplicità dei documenti raccolti in quel giorno; si va dalle videocamere degli smartphone alle riprese delle videosorveglianze, dalle conversazioni su skype ai filmini di famiglia.
Questo trucco permette un ritmo decisamente accelerato rispetto ai vari paranormal activity e figli e, paradossalmente (trattandosi nella finzione di un documentario fatto a posteriori), l’effetto di realismo è accresciuto di molto instillando allo spettatore una paura e uno sdegno non indifferenti. In tutto ciò si perdonerà l’aver preferito svolgere tutta la vicenda concentrando la diffusione dell’epidemia in poche inverosimili ore. Si accennava prima all’horror ecologico ed è di questo che si parla: nel suo piccolo la pellicola sfrutta una paura tipica di questi anni, quella del disastro ambientale, della rivolta degli elementi e chi più ne ha più ne metta e lo fa attraverso una ricostruzione alla “discovery channel” con l’accompagnamento di musiche banalmente drammatiche e posticce che da una parte può far sembrare povero e scontato il racconto, ma dall’altra fa stimolare riflessioni meno fini a se stesse di quanto possa sembrare. Va detto inoltre che il tutto è supportato dalla bravura dei tanti protagonisti, nessuno sopra le righe (da notare l’irriconoscibile Donna tre anni dopo l’esperienza di quel giorno) e tutti, chi più chi meno, a loro agio nell’estremo realismo della vicenda raccontata.Non si risparmia nemmeno per quanto riguarda il comparto più sanguigno: scene forti, mutilazioni, pustole giganti, sbudellamenti vari, suicidi, menomazioni si accompagnano alle morti fuori campo, alle telefonate in sospeso e a quanto di non visto e di peggio una moderna epidemia possa implicare per soddisfare il palato sempre più abituato degli affezionati del genere. Un prodotto quindi intelligente, sfornato da produttori di moda nel genere e diretto da un veterano del cinema di tutt’altro genere come Barry Levinson, che forse potrà non piacere agli appassionati per la sua difficoltà ad essere incasellato in una specifica categoria, ma che invece potrà convincere i più scettici della possibilità di realizzare un horror semplice ma capace di prestarsi a differenti chiavi di lettura.
About Alessandro Cruciani
Cresciuto nella provincia di Viterbo a pane e film, tra notti horror e combattimenti alla Van Damme, ha coltivato questa passione arrivando a creare gruppi di folli appassionati di cinema su facebook e a collaborare con alcune recensioni su www.bizzarrocinema.it e wwww.horror.it. Al di fuori del lavoro ama leggere, ascoltare musica e divorare serie tv.