Dracula 3D: il nuovo film di Dario Argento si è rivelato, purtroppo, un triste, scorante, clamoroso flop.
Negli ultimi anni, la figura del vampiro è stata ampiamente snaturata (diremmo dissacrata) da riletture in chiave post-moderna del mito (si vedano i vari Twilight, True Blood), che si sono molto allontanate dall’archetipo del vampiro classico, così che – pur con qualche perplessità – l’idea di rivisitare per l’ennesima volta la storia di Dracula, del mito originale, poteva anche avere un suo senso, a patto però di offrire qualcosa di nuovo da raccontare e a patto di raccontarlo in modo diverso. Purtroppo, l’idea è venuta a Dario Argento, regista da anni preda di una devastante crisi creativa e che non è stato in grado di dare nuova linfa al mito del Conte, realizzando un film davvero di scarsa qualità. E dire che dopo Giallo e La Terza Madre (solo gli ultimi capitoli che hanno segnato il lento declino del regista romano), era davvero difficile realizzare un film più brutto. Non vogliamo arrivare a dire che la mano ispirata di Suspiria o di Profondo Rosso (o dei primi nove film della carriera del Maestro) non sia mai esistita, che siano stati solo colpi fortunati, quanto piuttosto che si tratta probabilmente di lavori legati a doppio filo al loro tempo, frutto di contingenze evidentemente irripetibili. Dario Argento non è solo, d’altronde, nella triste classifica dei registi (anche con nomi altisonanti) che hanno sofferto di una lenta agonia creativa (così Romero, Hooper e, per certi versi, Carpenter).
E’ evidente, d’altronde, che dopo Opera (e ancor di più, dopo Il Cartaio) non c’è stato un titolo di Argento che meriti di essere davvero ricordato o che abbia almeno mostrato sprazzi di quel genio visionario, che lo ha reso icona dell’horror italiano nel mondo. Deve essere senz’altro ammirato il coraggio di reinventarsi ed è encomiabile la voglia costante di rimettersi in discussione con sfide nuove e sempre diverse, ma siamo onesti: se un film come questo Dracula fosse stato proposto da un esordiente sappiamo tutti che fine avrebbe fatto. Si tratta di un film talmente pieno di ingenuità e mediocrità che sembra essere girato appunto da un giovane artista alle prime armi e a inizio carriera, e non quale 21esimo film di un regista ormai maturo e affermato (ricordiamo che Dario Argento ha 72 anni e il suo primo film da regista, L’uccello dalle piume di cristallo, lo ha girato a 30). Non è un tema, purtroppo, di cifra stilistica perché lo stile di Argento lo conosciamo e non c’è molto di cui discutere: o piace, o non piace. Il problema di questo film è piuttosto insito nella sua struttura tecnica, nel contenuto dei dialoghi, nei personaggi e nella storia.
La trama è nota, pur se viene riproposta con qualche variante rispetto al romanzo e alle trasposizioni cinematografiche precedenti: il giovane Jonathan Harker (Unax Ugalde) viaggia dall’Inghilterra in Transilvania per lavorare presso il castello del conte Dracula (Thomas Kretschmann), come bibliotecario. Ben presto, Harker si rende conto di essere prigioniero del Conte e di non poter fuggire dal suo castello. La moglie di Harker, Mina (Marta Gastini) si mette allora sulle sue tracce, mentre un male inspiegabile tormenta la sua amica Lucy (Asia Argento).
La tecnica. Come si è detto, il mito di Dracula è stato raccontato davvero centinaia di volte ed era quindi necessaria quanto meno una ragione valida, un quid novum, per giustificare l’intenzione di tornare a raccontare la sua storia. Stando a quanto Argento ha lasciato intendere nelle interviste, uno dei motivi trainanti che lo avrebbero indotto a scrivere e girare questo film, è stato la possibilità di farlo attraverso una tecnica nuova, il 3D. Non c’è forse un approccio più sbagliato che quello di rendere il mezzo, un fine e la storia solo l’espediente per raggiungere le proprie ambizioni o soddisfare le proprie curiosità espressive. Lo studio di una tecnica complessa come quella del 3D avrebbe probabilmente richiesto più tempo e una pratica maggiore. Fatto sta che l’effetto finale, a livello tecnico, è piuttosto deludente: i personaggi, gli alberi, gli edifici risultano schiacciati, in un brutto effetto di piani sovrapposti (l’espediente di dare profondità attraverso piani sovrapposti era utilizzato già nel Biancaneve della Disney, anno 1937). I personaggi della storia (e l’ambiente che li circonda) sembrano dei cartonati: il soggetto in primo piano e quelli sullo sfondo hanno lo stesso grado di nitidezza, come fossero tutti sullo stesso piano e sono quindi privi di profondità, creando un effetto forse anche peggiore rispetto al normale film girato su 2D.
Esemplare è la scena dell’arrivo del treno – molto in stile Far West – alla stazione del paesino, che è fastidiosamente finta: il treno è immobile ed è più simile a una stampa che a un oggetto reale, il cielo è dipinto e le persone, di nuovo, sembrano pressate sotto un vetro immaginario, come foglie secche nell’album di un collezionista. E’ noto, poi, che il 3D, anche nelle ben più facoltose produzioni americane, ha prestazioni limitate nelle scene dinamiche e dal ritmo convulso, rendendo difficile seguire lo svolgimento dell’azione. In Dracula, il problema si ripropone nelle scene di fuga nei boschi o nelle vie della cittadina medioevale, se è possibile in modo ancor più accentuato. A questa debolezza tecnica, si è posto rimedio a volte in modo piuttosto casereccio: ad esempio, quando il Conte trova Tania, la sua serva, che sta per aggredire Jonathan Harker e si fionda sulla donna, urlando una frase come “Lui è mio!”, lo fa assumendo improvvisamente una posa davvero ridicola: immobile, mani sollevate in alto, il suo fermo-immagine sembra essere stato avvicinato digitalmente, per dare l’impressione di un movimento repentino e innaturale. L’effetto è senz’altro risibile.
E questo ci porta all’uso parco (ma piuttosto pecoreccio) della computer grafica. L’elemento della CG non si dovrebbe neanche notare in un film, ma dovrebbe integrarsi perfettamente con la storia e l’ambiente circostante. La bravura dovrebbe stare proprio nel fatto che nessuno si accorga dell’inserimento di elementi di CG. In Dracula, l’elemento tecnico è carente: è il caso delle fiamme che avvolgono il corpo di Lucy nella cripta, del gufo all’inizio del film che plana sulla povera vittima, della mantide religiosa di cui si dirà poco oltre. Infine, sempre sull’aspetto tecnico, ci sia consentito fare un commento anche su alcune discutibili scelte registiche. Il genio visionario di Argento ci ha abituato alla scelta di inquadrature non banali, ma sempre desuete o ricche di significato. In Dracula, la voglia di stupire o di essere forzatamente originali, l’intenzione forse di dare un senso al 3D (che in effetti alla storia non serviva affatto), ha portato il regista a creare inquadrature davvero improbabili: è il caso di interi dialoghi ripresi dall’alto (per cui si mostrano solo le teste dei due interlocutori), o dal basso; è il caso dell’espediente (criticato in altri contesti dallo stesso Argento) di rivolgere oggetti appuntiti allo spettatore per giustificare l’uso del 3D. Per non parlare dei primi minuti di film in cui, per seguire il volo del gufo digitale di cui sopra, sembra davvero che Argento abbia legato la videocamera a un filo e l’abbia fatta dondolare con un bastone per le strade della città medioevale. Infine le luci, forza e vanto di Dario Argento in Suspiria, vero protagonista di molti dei suoi film e elemento stilistico che lo ha sempre contraddistinto, in questo film sembrano tutte mal posizionate (forse proprio a causa delle necessità tecniche legate al 3D): le facce degli attori sono quasi sempre accese e bianche per via dei fari che evidentemente gli sono piantati in faccia.
La storia, i personaggi (e la recitazione). Saremmo davvero cattivi (e noi non lo siamo certamente), se dicessimo che gli attori delle telenovele brasiliane hanno maggiore intensità e trasporto di alcuni membri del cast di questo Dracula, e quindi ci limiteremo a notare solo la vacuità dei dialoghi, del tutto inconsistenti o didascalici; solo alcuni esempi: “Hai sentito?” “Sentito cosa? E’ solo il vento!”; oppure, il manigoldo che insegue la fanciulla e, con aria da birba, esclama: “Volevi avvisare le autorità eh?”; o infine il prete interpretato da Franco Ravera che urla un melodrammatico: “Lui è il male! IL MAAAAAALEEE!”.
I personaggi sono vittime dei loro ruoli stereotipati ed è davvero deprecabile l’omissione di un qualsiasi approfondimento o volontà di dare una tridimensionalità (emotiva più che visiva) ai vari protagonisti di questa storia. Niente, Argento ha troppa fretta, quindi corre come un disperato, cucendo insieme momenti celebri della saga del Conte, senza preoccuparsi minimamente di spiegare le ragioni del suo agire, senza arricchire i protagonisti di quella storia minima che permetta di renderli almeno verosimili, di spiegare il perché si comportano in un modo, piuttosto che in un altro. E’ vero, la storia del Conte Dracula la conosciamo tutti. Ma questo non autorizza l’autore a infischiarsene bellamente della trama e a saltare o dare per scontate alcune nozioni chiave del mito, o alcuni passaggi importanti della storia, così che i personaggi rimangono piatti come gli sfondi del suo amato 3D. E così Londra è totalmente assente dalla storia, di Lucy si dice all’improvviso che è morta, ma la sua morte non viene neanche “raccontata”, Jonathan Harker è il massimo protagonista per i primi 20 minuti di film, per poi sparire del tutto nel resto della storia. L’amore tra il Conte (che per tutto il film è un algido stoccafisso) e Mina sboccia improvviso, immotivato. Non c’è tormento nella sua storia, manca non solo e non tanto quell’elemento romantico che contraddistingue la figura e il mito di Dracula, ma una coerenza narrativa minima, necessaria per spiegare il perché dal punto A si arrivi al punto B. I personaggi risentono tutti di questa fretta immotivata e di questa gran confusione e, come si diceva, avanzano per stereotipi (come il prete pavido che poi diviene coraggioso e in cerca di rivalsa personale).
Quanto ai protagonisti, Rutger Hauer interpreta un discreto Van Helsing (forse il migliore tra gli attori del cast, pur considerando che entra in scena dopo un’ora di film e ci resta per poco più di un quarto d’ora), ma è il copione a limitare di più la sua interpretazione, ritagliandogli addosso giusto il tempo di attaccare qualche corona d’aglio e infilare qualche paletto nel cuore di qualche vampiro, in modo piuttosto sbrigativo. Significativa dell’approccio frettoloso del regista è la scena della cripta (ripresa tale e quale dal Dracula di Coppola): Van Helsing, dotato di borsa di cuoio da dottore al seguito (che si immagina piena di strumenti), si trova a esorcizzare Lucy usando come croce due legnetti incrociati. Tutto si svolge in pochi secondi: Lucy (Asia Argento), con una smorfia schifata lancia due grida grottesche, prima di bruciare in un orribile fuoco digitale. Thomas Kretschmann (che lavorò già con Argento ne La sindrome di Stendhal) interpreta un Dracula freddo, monocorde e inespressivo, privo del carisma animalesco di un vampiro che si rispetti, che offre il suo meglio solo in una scena dinamica e dalle tinte splatter in una locanda (probabilmente Argento avrebbe dovuto inserirne almeno una dozzina in più di scene efficaci come questa). Per il resto, si aggira quasi assente o distratto, come a chiedersi cosa ci faccia mai in un film del genere. L’oscar per la peggiore interpretazione, tuttavia, se la contendono Asia Argento, la slavata Marta Gastini e Miriam Giovannelli che sembra uscita da un soft-porno degli anni 70. Non sono d’altronde le tette della Giovannelli in 3D che possono tenere insieme la pellicola, né quelle di Asia Argento (mostrate durante un bagno, quando Mina scopre che il vampiro, come un moderno tossico, ha morso Lucy dietro il ginocchio, per non lasciare i segni dei buchi sul collo…).
Altro protagonista di questo film sono gli animali: Argento ha una passione smisurata per gli animali (ai quali ha dedicato la sua celebre triologia, L’uccello dalle piume di cristallo, Quattro mosche di velluto grigio, Il Gatto a nove code) e in particolar modo per gli insetti (Phenomena). Se a questo si aggiunge il fatto che gli insetti rivestono un ruolo importante anche nell’opera di Stoker e che nel mito di Dracula è insita la sua natura mutevole e il suo legame con il mondo animale, era inevitabile che nel film la presenza di animali avrebbe giocato un ruolo importante. In realtà le mutazioni del Conte in animali, a livello visivo, avrebbero potuto costituire forse lo spunto per Argento, per dare sfogo alla sua fantasia visionaria, occasione di fatto poco (e mal) utilizzata. In quest’ottica, mentre il Conte Dracula si può trasformare in qualsiasi animale preferisce, stupisce e imbarazza veder salire le scale della locanda a una gigantesca mantide religiosa di tre metri di un acceso colore verde smeraldo, che grida computer grafica lontano un miglio (ma a livello delle Clipart di Office). Tra gli animali, infine, segnaliamo i lupi che, nella foresta, appaiono minacciosi solo perché è stato aggiunto il sonoro di profondi ringhi, ma che sono ripresi con la lingua a penzoloni, pacifici e scodinzolanti.
Non è mai bello, neanche quando si tratta di pellicole come questa, svelare i finali dei film, ma che il Conte Dracula non faccia una bella fine, nella storia, lo si può ben immaginare. Ecco, tutti ricordano l’epico scontro finale nel Dracula di Coppola e nessuno chiedeva ad Argento di copiarlo. Certo però non ci si può neanche accontentare di un finale scialbo come quello proposto, un epilogo troppo repentino, privo – come tutto il film – di reale pathos.
Non si fraintenda quanto scritto fino ad ora. Argento resta sempre, a nostro avviso, uno degli Autori più interessanti e comunque imprescindibili nella storia del panorama horror italiano. Criticare il suo film, oggettivamente scarso, ci diverte tanto quanto ci ha divertito vederlo al Cinema. Preso atto del flop, non resta quindi che sperare in una celere ripresa del Maestro romano.
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