L’idea è quella di riproporre più o meno pedissequamente il canovaccio della pellicola di Alex Proyas declinandola per sottrazione.
Ingiustamente accusato del brutale omicidio della propria amata, il giovane Alex Corvis viene condannato alla pena capitale e giustiziato sulla sedia elettrica. Ma lo spirito della vendetta, incarnatosi nelle inquietanti fattezze di un corvo, donerà al ragazzo poteri ultraterreni e un’ultima possibilità di svelare il complotto dietro alla morte della propria donna e fare finalmente giustizia del gruppo di poliziotti corrotti veri responsabili dell’omicidio.Chissà come sarebbe andata a finire se in cabina di regia di questo ennesimo, reiterato adattamento spurio dall’eccezionale personaggio creato da James O’Barr ci fossero stati, in rigoroso ordine di eliminazione, Rob Zombie – prima scelta della produzione anche per la sceneggiatura, ma allontanato per insanabili divergenze creative con la produzione – o Alex de la Iglesias, che in un secondo momento era sembrato il candidato più papabile alla direzione: figure professionali profondamente diverse ma accomunate dalla chiarezza di idee e da una solida e personale idea di cinema.
Proprio quello di cui avrebbe eventualmente avuto bisogno un progetto che, a ben vedere, già a priori mostrava i limiti di un soggetto brillantemente sfruttato all’osso nel primo capitolo ed esauritosi con le briciole lasciate al secondo. Ma evidentemente nella stanza dei bottoni della Pressman Films non erano dello stesso avviso: buttati sul piatto dieci milioni di dollari di budget e uno script di Chip Johannessen, produttore Tv di successo e sceneggiatore, si finì per piazzare in cabina di regia l’indiano Bharat Nalluri, poco più che un onesto e diligente mestierante affermatosi negli anni nel mondo dei serial tv. L’idea, prevedibile e tenacemente conservativa, è quella di riproporre più o meno pedissequamente il canovaccio della pellicola di Alex Proyas declinandola per sottrazione, ripulendola di gran parte del comparto estetico ed ambientale dark che tanto aveva contribuito al successo del primo episodio ed inserendo il tutto in un contesto più convenzionalmente urbano e spartano, per quanto la stessa scelta di Eric Mabius (Resident Evil, Cruel Intentions) nei panni del protagonista, interprete dalle caratteristiche profondamente diverse rispetto alla fisicità maledetta di Brandon Lee, avrebbe potuto far pensare a un deciso – e necessario come ossigeno – passo d’allontanamento nei confronti dello scomodo capostipite.
Ma la sostanza della pellicola, evidente sin dalle primissime battute, è decisamente meno coraggiosa: non c’è intenzione di creare alcunché di realmente alternativo rispetto a un comodo vivacchiare sugli altrui sforzi, nessun vero lavoro di costruzione di protagonisti credibili e appassionanti laddove, invece, la pellicola di Proyas aveva fondato le proprie fortune intorno a un irresistibile ed efficacissimo insieme di retorica estetica ed emotiva . Il prevedibile gioco di sceneggiatura e regia è quello di gettare al pubblico una manciata di esche che sanno tanto di già sentito con la speranza che siano sufficienti a ricreare quella malia nera tanto cara ai fans del primo Corvo: il frequente ricorso al flashback patinato, la dinamica ad eliminazione, la manichea divisione tra i suoi protagonisti; tutte caratteristiche che fanno della pellicola di Nalluri è un lavoro senza alcuna identità propria, cui oltretutto viene negato l’apporto – imprescindibile, considerata la sua struttura – di una nemesi del protagonista importante e all’altezza. Gli unici spunti davvero interessanti arrivano dalla colonna sonora, ma nemmeno le efficaci alchimie di Tricky tra Blondie e trip hop riescono a dare un po’ di sapore ad un piatto davvero troppo modesto nei suoi ingredienti di base: una felice intuizione – pur abortita in partenza – quella della declinazione yankee delle velenose atmosfere elettroniche industriali di Bristol, ma che avrebbe necessitato di ben altri contribuiti oltre all’inevitabilmente limitato apporto di un musicista di qualità. Terribilmente mediocre in quasi ogni suo aspetto, e quindi del tutto privo della pur poco consolatoria dignità che si deve riconoscere ai film indiscutibilmente brutti.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.
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set 24, 2013Posted By
Livioa me non è dispiaciuto molto… anche se è imparagonabile al 1°