“Avevo l’opportunità mi mettermi nei panni di un personaggio incredibile, e quest’occasione sarebbe valsa qualsiasi rischio.”
Lanciati dal serial di successo mondiale Settimo Cielo, parallelamente a progetti più mainstream il volto e il nome di Jessica Biel hanno presto iniziato ad associarsi all’universo delle pellicole di genere – The Texas Chainsaw Massacre, Blade Trinity -. Eppure, la scelta di spingersi tanto oltre da pretendere di lavorare con un filmaker tanto impegnativo come Pascal Laugier (Martyrs) non può che sorprendere…
Avevi già visto Martyrs prima di metterti al lavoro con The Tall Man? Ti sei preoccupata di ciò che avresti dovuto affrontare scegliendo quella parte?
Ho visto Martyrs e mi è piaciuto molto, e benché sapevo che con tutta probabilità avrei dovuto affrontare scene molto forti, ho deciso di accettare.
Cos’hai pensato dopo aver letto la sceneggiatura?
Sono rimasta piacevolmente sorpresa. Ogni pagina è un passo ulteriore verso l’ignoto. Poi, dole prime due scene di maggior tensione ho deciso definitivamente che l’avrei fatto. Ho amato Martyrs, nonostante la sua brutalità ed efferatezza, perché è un film estremamente elegante. Quel lavoro di Laugier mia ha impressionato talmente che ho deciso che prima o poi avrei dovuto lavorare con lui.
Com’è stato il vostro rapporto sul set?
Lavorare a questa pellicola è stata una sfida davvero dura. Io e Pascal eravamo in una situazione particolarmente delicata, dovendo gestire quelle che pensavamo dovessero essere le giuste reazioni della protagonista di fronte a quanto sapesse effettivamente di determinati accadimenti, che era sostanzialmente differente da quando volevamo che il pubblico sapesse. E’ stato molto complicato riuscire a fare la cosa giusta in ogni occasione. Il mio personaggio è una donna complessa e sfaccettata, il membro di un’organizzazione a là Medici Senza Frontiere che vive con particolare intensità le frustrazioni che un’impegno del genere non può che portare, e nel suo disperato bisogno di fare del bene, esce da quelli che sono i binari della normalità e del convenzionale: alla fine sarà proprio il suo spirito fondamentalmente buono a rappresentare l’unica ancora di salvezza dal mare di guai in cui rischierà di annegare.
Hai lavorato in prima persona sulla costruzione della sua figura o Laugier ti ha proposto un personaggio già costruito?
Abbiamo lavorato molto insieme, per quanto in qualche modo la sua figura fosse già stata delineata a grandi linee. Una delle grandi qualità di Laugier è quella di riuscire a creare personaggi in grado di ispirare un fortissimo senso di empatia nel pubblico, e in questo senso è stato sistematico nel pretendere da me quanto era certo io potessi dare. Alla fine ho dovuto letteralmente abbandonarmi all’interpretazione: è stato in quel momento che siamo finalmente riuscito a ottenere qualcosa di magico.
Come già nei suoi lavori precedenti, Laugier si prende delle responsabilità narrative importanti, secondo un modus operandi decisamente europeo e lontano dalle scelte conservative della grande industria americana. Credi che un film del genere avrebbe trovato qualche sponda produttiva nell’industria americana?
Se si fosse trattato di una grande produzione e di grandi nomi coinvolti, non credo che sarebbe stato lo stesso tipo di film. Ciò che interessava a noi era di raccontare una certa storia in una specifica maniera, prendendo anche decisioni che rischiavano di essere impopolari – Nello specifico, la parte conclusiva della pellicola avrebbe fatto storcere più di un naso -. Ma questo dopotutto è uno dei rischi del filmaking: avevo l’opportunità mi mettermi nei panni di un personaggio incredibile, e quest’occasione sarebbe valsa qualsiasi rischio.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.