Tre giovani amici della periferia romana, dove tutto scorre come da copione, si ritrovano tra le mani le chiavi di una bella villa in campagna appartenente allo strano e facoltoso Marchese Lanzi, fuori per il fine settimana per un raduno d’auto d’epoca. I tre non resistono alla tentazione di passare due giorni indisturbati nel lusso, ma qualcosa nella cantina comprometterà inaspettatamente i loro goliardici progetti.
Accingersi a parlare di Paura 3d, ultimo lavoro dei Manetti bros, prolifici registi di genere italiano, è difficile, soprattutto nella tentazione di marcare la delusione dell’opera. Perché possiamo fare tutti i voli pindarici che vogliamo, noi italiani d’altronde siamo un po’ partigiani verso i nostri prodotti, ma la verità pura e semplice è che alla fine Paura 3d è un film sbilanciato e imperfetto. Dispiace anche perché, non molti mesi fa, eravamo noi a tessere le lodi dei due registi romani per quell’esempio fulgido e perfetto di scifi a basso budget che era L’arrivo di Wang, un intelligente film da camera sorretto da buone idee, da una certa suspense e da un finale potente, tutte cose che anche se hai i miliardi alle spalle puoi non riuscire a fare.
Eppure qui, in un territorio più facile della fantascienza, il film del terrore, i Manetti stentano in una messa in scena non sempre all’altezza delle premesse e in una ridondante caccia al topo. Tuttavia qualcosa di buono c’è in questo horror/thriller che cita Hoffman e il suo L’orco di sabbia: il finale. Quando ormai ogni speranza, per parafrasare il sommo poeta, era ormai perduta, ecco che i Manetti ti sorprendono. La stanza cambia, l’ambiente assolato diventa un gotico baviano e ci ritroviamo, come il protagonista, a brancolare a tastoni senza meta, a non capire cosa stia succedendo, inseguendo una voce amica che assume l’innaturale tono della follia, ed ecco che i buoni diventano cattivi, la porta chiusa col lucchetto ci riporta al Perrault di Barbablu, i disegni iniziali cominciano ad assumere un significato, e la morte ora ha l’aspetto di una fanciulla bellissima. Questo non assolve il film dai suoi peccati, s’intende, ma lo rende opera bizzarra, che alla fine poteva essere tante cose e forse sbaglia registro, lo sbaglia nella scelta degli attori, sempre o troppo sopra le righe o troppo sotto, lo sbaglia nel mettere in scena omicidi insapore, quando i nostri horror, anche i più infami, erano inventivi almeno in questo, lo sbaglia nel non osare, nel non essere eccessivo, perché alla fine la paura vera è che si stia guardando un telefilm sadico è vero, con le tette in bella mostra, ma sempre un prodotto da piccolo schermo graziato dal 3d e dall’uscita al cinema.
Dispiace anche perché ci sono guizzi sparsi nell’opera che restano solitari, la miserabile stanza della ragazza (e qui il titolo originale sarebbe stato più azzeccato) spiata attraverso un buco della parete, le forbici da Phenomena argentiano che irrompono all’improvviso, e una Roma inedita ripresa come lo Scorsese romantico di Aldilà della vita. Poi il film è vero ricorda pericolosamente Il bosco fuori di Gabriele Albanesi, ma fortunatamente non sbracca nel dilettantesco restando compitino diligente e senza molti scossoni con quei due o tre effetti del maestro Stivaletti di routine. Ci si aspettava di più è vero, ma alla fine non riusciamo ad odiarlo questo Paura 3d, un tempo La stanza dell’orco, per quella strana e impalpabile malia che non ci lascia a visione ultimata, malgrado i difetti, come sangue raggrumato che il sapone non riesce a lavare.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.