La storia dell’arte è un campo di battaglia: da una parte i censori, difensori della morale comune, e dall’altra coloro che esplorano i recessi più oscuri della realtà usando le armi della fantasia. Uno scontro cruento il cui finale è sempre lo stesso.
Il termine romantic compare per la prima volta nella lingua inglese verso la metà del Seicento per indicare le peculiarità di ciò che, like the old romance, come un vecchio romanzo cavalleresco, attrae per la sua irrealtà. È un attributo negativo esattamente come, in origine, lo erano gotico e barocco: ciò che si lega alla fantasia non è degno dell’attenzione delle persone per bene. L’Inghilterra razionale di Alexander Pope, come più tardi la sbrindellata Italia di Manzoni, castiga l’estro dell’immaginazione e lo sprofonda, al pari di un angelo ribelle, nell’inferno del capriccio letterario senza valore.
Non trascorre neanche un secolo, però, che questo ingenuo razionalismo è già prossimo al crollo. Ciò che la società benpensante aveva bandito con disprezzo, si fa oscenamente attraente per sempre più anime tormentate. Tutto quello che è gotico, barocco e romantico diventa il tratto distintivo di una nuova generazione di artisti. La bellezza della rovina, il fascino delle ombre e il soffio dolciastro della morte si trasformano nella materia prima di quanti, stanchi delle convenzioni morali spacciate per “realtà oggettiva”, tentano di opporvi un rimedio assoluto: quello della fantasia, in grado di estendere il reame della realtà sino alle sue lande più spaventose e oscure.
Shelley, verso la fine del 1819, si trova agli Uffizi. Osserva stranito una testa di Medusa erroneamente attribuita a Leonardo e ne viene conquistato. Così la descrive: “È la tempestosa leggiadria del terrore (…) specchio di tutta la beltà”. Già Goethe, nel Faust, aveva isolato e reso compiutamente operativa la bellezza medusea, in una prima perversione del gusto che faceva dell’orrido e dello spaventoso delle vette di desiderio. E Novalis scriverà: “Strano che la vera e propria origine della crudeltà sia la voluttà”, intendendo ribadire il legame tra dolore e piacere, fra Eros e Thanatos. Verranno poi Musset, Baudelaire, Poe, Flaubert, Gide, i decadenti e infiniti altri, a strappare definitivamente il bavaglio alla letteratura moderna, a colpire con la violenza delle più incendiarie passioni la morale dabbene loro contemporanea, a confondere in modo sublime la meraviglia e l’orrore.
Costoro, come le baccanti della tragedia di Euripide, inneggiano a Dioniso, il dio straniero (alieno) venuto a sovvertire l’ordine, a insegnare – per usare le celebri parole di Lovecraft – nuove bestemmie e nuovi modi di provare piacere. Danzano, cantano, battono sui tamburi, in un turbine sfrenato di a-moralità, mentre il difensore dei valori “tradizionali”, Penteo, prima viene condotto fuori Tebe, poi umiliato e infine fatto a pezzi. Tebe, naturalmente, è il mondo dell’arte; Penteo il Pope o il Manzoni della situazione (non cantavano, i nostri Scapigliati, per voce di Emilio Praga: “Casto poeta che l’Italia adora, / Vegliardo in sante visioni assorto, / tu puoi morir! Degli antecristi è l’ora!” riferendosi proprio a Manzoni?). E, come nella Tebe di Euripide, la passione malsana, la nuova religione di sangue, dilaga in fretta, conquistando altri artisti e un pubblico sempre più vasto.
Una legione di vampiri, neonati deformi, orrendi prodigi, delitti e tombe scoperchiate sfugge ai processi per stregoneria, ai “Miracoli” di Levino Lennio o al “Des monstres et des prodiges” di Ambrosie Paré, per emergere come un dio sotterraneo dal vizio e dagli orrori di Greci e Latini, e infestare romanzi, quadri e persino sinfonie musicali. Il marchese de Sade sarà il gran sacerdote di questa messa nera ininterrottamente officiata da dopo la sua ingloriosa morte, con culmini memorabili nell’Ottocento. Una legione, soprattutto, di donne fatali, letali e ambigue: lamie capaci di assumere le sembianze di fanciulle splendide, arrivate sino a noi attraverso molteplici reincarnazioni; ovunque si guardi, dalla Clara di Mirbeau all’Isabella di d’Annunzio, dalla Salomè di Moreau alla donna-vampiro di Munch, dall’adolescente Carmilla di Le Fanu alla Fosca di Tarchetti, la storia dell’arte viene invasa dalle divinità lunari. Un’invasione che ci ha regalato l’arte più sublime, più viscerale e in fondo più utile (nel suo ribadire la supremazia liberatoria del bizzarro opposto a qualsiasi catechesi o accademismo); con buona pace del casto poeta, Pope e Penteo e degli altri censori, il cui destino è sempre lo stesso: essere sconfitti e fatti a brandelli.
About Ivo Torello
Nato a Genova nel 1974, vive a Ferrara da un paio di anni. Ha lavorato (e talvolta lavora ancora) come curatore editoriale, come grafico e nel mondo della musica.
Ha vinto il premio Lovecraft nel 2000 e nel 2003, ha sparso racconti fantahorror in Italia e all’estero e si è tolto la soddisfazione di collaborare – in qualità di illustratore – col National Geographic Channel USA.
Ha aspettato il 2012 per inaugurare il ciclo narrativo di Walkley & Milton, di cui ha pubblicato il primo romanzo, “Predatori dall’Abisso”, per le edizioni Hypnos: un sentito omaggio alla fantascienza di Lovecraft, Hodgson, Conan Doyle, con bestie aliene, vecchi libri e brughiere piovose.
Attualmente sta lavorando allo scoppiettante seguito, “La Guerra dei Leviatani”, che dovrebbe uscire nel 2013, e sta pubblicando settimanalmente, in forma gratuita, il romanzo erotic-lovecraftiano "Insania" (ivotorelloinsania.blogspot.it).