Un film con un’ottima regia, e una intensa fotografia.
XV secolo. Adele è accusata ingiustamente di omicidio e stregoneria e condannata al rogo. Sua figlia maggiore di cui tutti conoscono l’esistenza ma nessuno l’ha mai vista cerca di convincere il conte Humboldt fratello di Franz, a salvare la madre. Il conte accetta ma in cambio Helen deve concedergli le sue beltà. Troppo tardi il conte fa la sua mossa: il figlio Kurt ha dato l’ordine definitivo e Adele finisce sul rogo. La sua seconda figlia Lisabeth, ancora ragazzina è costretta accompagnata da un serva, Grumalda, ad assistere alla morte di sua madre, che avvolta dalle fiamme lancia una maledizione su tutti gli Humboldt predicendo la morte del conte nell’ultimo giorno del secolo e la peste su tutto il villaggio.
Per paura di eventuali ritorsioni decisa a raccontare la verità sul vecchio conte Helen è costretta a scappare, ma raggiunta dal conte sarà spinta in un fiume. Grumalda mossa a pietà per la piccola Lisabeth conserva le ceneri di Adele in una tomba di modo che la piccola possa avere un posto su cui piangere la madre. Nessuno poteva sapere che in quella tomba giaceva il corpo di Helen e che era figlia di Adele. Passa il tempo Lisabeth cresce sempre più uguale a sua madre, e attira su di sé le attenzioni di Kurt; il villaggio è attraversato dalla peste, Kurt durante una lite col padre confessa che è stato lui ad aver ucciso Franz per averne l’eredità il padre decide così di rinnegarlo, ma per paura poi acconsente al matrimonio di Kurt con la giovane Lisabeth. Ma le cose si complicano.
E’ l’ultimo giorno dell’anno durante la recita dell’Apocalisse si scatenano gli elementi. La peste fuori dal castello miete vittime, e gli abitanti del villaggio attaccano il maniero, mentre una tempesta si abbatte su tutti. Un fulmine colpisce la tomba di Helen che ritorna a vita e si presenta in chiesa con il nome di Mary. Il vecchio conte sempre più tormentato e spaventato, alla vista di Helen muore di infarto, mentre Kurt si lascia furiosamente prendere dalle passioni. Kurt vuole Helen e per averla deve uccidere chiunque si interponga tra loro due anche la stessa Lisabeth che muore avvelenata. Con la pioggia la peste si allontana, gli abitanti del villaggio avviano i festeggiamenti che prevedono tra le altre cose che sia bruciato un fantoccio rappresentante la morte, mentre Kurt è in preda alle visioni. Comincia a vedere Lisabeth viva, ma quando capisce che in realtà non è mai morta Helen/Mary gli spiega tutta la verità e lo costringe a entrare nel feticcio legato e imbavagliato. Sarà proprio Lisabeth a dare fuoco al fantoccio con un’ironica frase di rito.
Un film macchinoso firmato Anthony Dawson pseudonimo di Antonio Margheriti di cui riconosciamo ampliamente lo stile. I lunghi non ha un plot originale, nè poteva essere tale nel 1964. Il tema della strega che si vendica, della morte apparente, della vendetta, elementi tipici della tragedia classica e shakespeariana vengono qui infarciti di stereotipi e presentati con la solita sfumatura gotica tipica di Margheriti, sfumature che ben si adattano all’epoca tardo medievale in cui è ambientato il film e che suppliscono alla scadente sceneggiatura. L’attrice Barbara Steele dona al film la ben conosciuta aurea altera e sensuale di sempre. Nel complesso un film dal ritmo lento tanto più se si pensi alla prevedibilità della storia e delle vicende. Una recitazione macchinosa arricchisce l’interpretazione degli attori di una teatralità forzata e del tutto non necessaria (ho le mie riserve a credere che all’epoca questo tipo di exploit recitativo avrebbe potuto impressionare il pubblico).
Un film con un’ottima regia, intensa la fotografia e bella la scena finale una sorta di happy ending macabro che regala soddisfazione al pubblico, finalmente vendetta è compiuta tra le fiamme così come tutto era cominciato.
About melania colagiorgio
Twitter •