Cinema Aftershock: Parla Eli Roth

Aftershock: Parla Eli Roth

“A un certo punto si è dovuto decidere se fare una pellicola di genere o un film drammatico. E’ in quel momento che ci siamo chiesti se fosse il caso di aggiungere la dicitura tratto da una storia vera.”
A dieci anni dalla presentazione al mondo del suo esordio registico Cabin Fever, Eli Roth è tornato sul luogo del delitto, il Toronto International Film Festival, per parlare della sua ultima fatica, Aftershock, che l’ha visto nei panni di produttore, sceneggiatore e interprete principale.

Aftershock è ambientato in Cile, ed è lì che tu dirigerai la tua prossima pellicola The Green Inferno

Il nostro scopo è quello di dare vita ad una Cilewood! Io e Nicolas (Lopez, regista di Aftershock) siamo amici da molto tempo, e io ho una passione sfrenata per i film in lingua spagnola. Abbiamo iniziato a discutere di una collaborazione dopo che il suo Que Pena tu Vida, una pellicola prodotta in condizioni semi-amatoriali, ha sconfitto addirittura The Social Network ai box office cileni. Questo l’ha convinto che potesse esserci un modo tutto nuovo di fare cinema. Gli sponsor, e non una produzione vera e propria, hanno finanziato il film con duecentomila dollari. Il film ne ha incassati un milione, che ha permesso di produrne il sequel in condizioni decisamente più professionali. Lui non ha mai lavorato con l’horror, ma quando ci siamo ritrovati per discutere del suo primo film americano ci siamo resi conto che, dopo il successo di The Last Exorcism e del format Eli Roth Presents, il mio nome ha raggiunto un certo peso specifico all’interno delle dinamiche produttive dell’industria, il che ci avrebbe permesso di lavorare con un certo budget in piena tranquillità. Abbiamo quindi iniziato a ragionare sul tipo di film, e quando sembrava che fossimo indirizzati verso una qualche forma di science fiction, lui ha iniziato a parlarmi del terremoto del febbraio 2010 che ha trasformato tutto il Cile in un’enorme montagna russa per tre minuti e mezzo.”Con questo non abbiamo bisogno di alcuna sci-fi” ha detto. Le scosse di assestamento – l’aftershock del titolo – davano continuamente l’impressione che il terremoto stesse per ricominciare. Ha poi iniziato a ragionare sul fatto che questa è la prima generazione a vivere in simbiosi con una smartphone, che nei fatti rappresenta ormai una sorta di balia per chiunque ne sia in possesso. Una volta saltata la rete elettrica e la possibilità di ricaricare le loro batterie, la popolazione si è ritrovata improvvisamente più sola, sprovvista di tutti i contatti che esso ormai memorizza al posto nostro e senza una rete GPS in grado di aiutare un senso dell’orientamento in via di atrofizzazione. C’è stato quindi un ritorno massivo all’uso delle radio, unico e ultimo mezzo di comunicazione in grado di dare una qualche informazione sull’accaduto. Il terremoto ha colpito nell’ultimo weekend estivo, alle 3 di sabato notte. Un sacco di gente stava festeggiando all’interno di discoteche che in un attimo sono state rase al suolo.

 

Quindi la pellicola è un vero e proprio bagno di realtà.

E’ tutto reale. Le prigioni sono state fatte a pezzi, e in alcune zone c’è stato un allarme tsunami. Il caos era talmente incontrollabile che è stata indetta la legge marziale: una società moderna e civile come quella cilena in pochissime ore si è ritrovata trascinata all’età della pietra. Ad un certo punto della produzione della pellicola ci siamo ritrovati a girare nei pressi del cimitero di Vaparaiso, una zona molto povera nei pressi di Santiago. Feci i miei complimenti agli scenografi per l’incredibile lavoro che erano riusciti a fare con quel cimitero, pieno di tombe scoperchiate e scheletri ovunque. Loro mi dissero che non avevano fatto assolutamente nulla, tutto quello che vedevo era assolutamente reale.

La cosa bizzarra è che probabilmente la gente percepirà la pellicola come un classico lavoro di fiction, mentre tutta quella che è la sua componente orrorifica in realtà ha esclusivamente a che vedere con la realtà.

Questo è il vero cuore del discorso. Ad un certo punto si è dovuto decidere se fare una pellicola di genere o un film drammatico. E’ in quel momento che ci siamo chiesti se fosse il caso di aggiungere la dicitura “tratto da una storia vera“. Francamente non ne siamo ancora venuti a capo. La verità è che abbiamo preso tutti questi elementi dalla realtà e li abbiamo inseriti in una storia di pura fiction.

La pellicola rappresenta anche il tuo esordio in un ruolo protagonista. Come sei riuscito a fare tutto?
E’ stata molto dura, anche perché io e Nicholas abbiamo voluto mantenere molto alto il livello qualitativo di ogni passaggio produttivo. Innanzitutto la stesura della sceneggiatura non finiva mai: continuavamo a incontrare con il co-sceneggiatore Guillermo Amodeo e ad aggiungere parti supplementari. E’ stata una modalità di lavoro massacrante ma decisamente funzionale. Ad un certo punto ho dovuto abbandonare il timone produttivo perché avevo assoluto bisogno di concentrarmi sull’aspetto interpretativo, e non è certo fattibile se al contempo devi mercanteggiare coi distributori e montare un teaser trailer!

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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