Un mockumentario che spicca nel genere per intelligenza e suspense.
Il reverendo Marcus Cotton (Patrick Fabian) è un uomo che, per mantenere la sua famiglia, ha passato gran parte della sua vita a praticare finti esorcismi. Tra le varie richieste di aiuto, Cotton sceglie di risolvere il “caso” di Nell (Ashley Bell) e così, accompagnato da una troupe di due operatori, si reca nella lontana fattoria della famiglia Sweetzer in Louisiana.
Il mockumentary è un genere interessante, ma pericoloso: difficile riuscire a dire qualcosa di davvero incisivo, ma anche soltanto terrorizzante in una scimmiottatura di uno stile il più amatoriale possibile. Le pellicole memorabili si contano sulla punta delle dita, non era il caso di Blair Witch project, riscattato solo da un finale efficace, anche se fu un apripista per tutti i fratelli a venire, fossero gli zombi di Rec o i poltergeist dispettosi di Paranormal activity. L’ultimo esorcismo (ma il titolo Cotton è sicuramente migliore) è fortunatamente uno dei migliori mockumentary usciti, terrorizzante, vario, a suo modo intelligente nel creare una storia cinematografica in un genere che abbraccia il (finto) realismo. Quello che rende il film di Daniel Stamm migliore di un Devil’s inside, pur giocando nello stesso campo da gioco, è sicuramente la scrittura: non si va avanti ad accumuli, a vomiti e parolacce, ma c’è un interesse non comune per la suspense e i vari personaggi, soprattutto per il revendo Cotton. Ecco che il segreto di una formula riuscita si può condensare in una parola, empatia. Il pubblico non ha davanti un protagonista standarizzato da B movie esorcistico, ma un uomo a 360 gradi, uno strano antieroe che mistifica per primo il corollario di stregonerie che abbiamo messo in conto di vedere, le croci, l’acqua santa e persino l’eterno battaglia tra Dio e Satana. Lo spettatore simpatizza con questo reverendo disilluso dalla fede e dagli uomini, il suo non essere perfetto lo rende una persona qualunque, uno di noi con pregi e difetti dell’essere umano. L’ultimo esorcismo non è la solita exploitation con teste girate all’indietro e voce gutturale, il sangue c’è, i clichè pure, ma giostrati in modo quasi innovativo nella sceneggiatura. L’ultima parte, la più tesa e concitata, quella esoterica e lovrecraftiana che ha fatto storcere il naso a molti spettatori, è la cosa migliore: anticipa, citando il modello aureo di Wicked Man di Robin Hardy, horror a venire come Kill List e riesce a lasciare un senso di inquietudine non comune. Merito del regista Daniel Stamm, uno che nella sua vita ha fatto poco o niente in ambito cinematografico, ma che ha avuto l’intelligenza e la bravura di riscrivere un genere, come quello del mockumentary, con estro e fantasia.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.