Parlare di Psycho senza rischiar di cadere nel più ridicolo qualunquismo è arte assai complicata.
Addentrarsi in un’analisi dei significati psico- sociali, riflettere sulle portata del retaggio hitchcockiano a livello di tecnica rappresentativa, comparare, catalogare, rivisitare, tutto appare fuorviante, quasi blasfemo. Parlare di Psycho nel 2012 è come parlare di Revolver dei Beatles o del Macbeth di Shakespeare, opere immortali di cui si sa tutto e nulla, creazioni figlie di genialità estemporanea, lontane dal concetto di epitome perchè prive di parti sacrificabili. Sono passati cinquantadue anni da quando Alfred Hitchcock sconvolse il composto eppur smanioso pubblico dei ruggenti Sessanta. Eppure Psycho è ancora li, nei montaggi video, nelle pubblicità, in svariati riferimenti pluriartistici e mediatici. Certo, ancora molto si disquisirà sul close-up di Marion Crane (Janet Leigh) strillante nella doccia o sui simbolismi raffinati come i corvi neri impagliati ma, in sincerità, nemmeno il gotha degli opinon leader potrà affermare con certezza di sapere cosa Hitchcock voleva trasmetterci. Questo perchè il maestro inglese ha sempre dribblato interpretazioni altre che non fossero riferite alla mera volontà di terrorizzare e , forse, proprio li sta l’unica certezza del fruitore: Psycho fa paura e la farà per sempre.
Ho dato fin ora per scontato che l’attento lettore abbia visto Psycho (1960, Alfred Hitchcock). Se non lo avete ancora fatto correte al noleggio o in qualche store perchè chi ama l’Horror non potrà che amare questo film. Fate attenzione però, perchè potrebbe capitarvi tra le mani uno dei tre episodi successivi (Psycho 2, 1983, Richard Franklin, Psycho3, 1986, Anthony Perkins, Psycho4, 1990, Mick Garris) o peggio avere a che fare con lo spin-off Il Motel Della Paura (1987, Richard Rothstein). Citazione a parte merita altresì il remake shot to shot di Gus Van Sant del 1998, lungometraggio che, eccezion fatta per qualche lieve variazione nello script, omaggia decorosamente il capolavoro di Hitchcock. Detto questo l’originale resta di gran lunga inarrivabile, perla di tecnica cinematografica e strumento di comunicazione emotiva sopraffino. Come valutare dopo queste premesse la notizia dell’uscita nel 2013 di Bates Motel, serie Tv in dieci episodi progettata intorno al racconto dell’origine del male omicida di Norman Bates? Di primo acchito le perplessità regnano sovrane e il tutto sembra l’ennesima trovata commerciale per riproporre pedissequamente il giochino dello sfruttamento del mito. Ma conviene restare cauti considerati i dubbi iniziali della scorsa stagione piombati come macigni su American Horror Story e Walking Dead, poi rivelatesi un successo (quantomeno di pubblico). Inoltre va rimarcato come la serialità televisiva negli ultimi dieci anni ci sta abituando assai bene grazie ad un maggiore apporto degli addetti ai lavori soliti alla relazione stretta col grande schermo.
Bates Motel, come anticipato, partirà con dieci episodi senza che sia previsto il pilot, indice questo di grande fiducia da parte del network A&E e della casa di produzione Universal Television sull’effettivo successo del progetto. La sceneggiatura porta la firma di Carlton Cuse, uno dei padri di Lost e di Kerry Ehrin che qualcuno forse si ricorderà come creatrice della serie Boston Legal.
Bates Motel volgerà la sua attenzione sull’infanzia di Norman Bates, sulle dinamiche malate proposte dalla madre Norma e sul percorso latente della malattia che lo condurrà infine al matricidio e all’odio sfrenato per il genere femminile. Il presidente di A&E Bob DeBitto sembra entusiasta del piano e crede fortemente nell’artificio di una plausibile reinterpretazione dei caratteri tipici dell’epopea hitchcockiana. Di certo c’è che DeBitto ha gran fegato perchè il rischio di passare come l’ennesimo epigono balzano è assai consistente. Grideremo al miracolo? La risposta al prossimo anno. Le riprese dovrebbero partire con la fine dell’Estate.
About stefano paiuzza
Appassionato d'horror da tempi recenti ma affascinato dalla paura da sempre. Ama in particolar modo il cinema europeo ed extra hollywoodiano in genere. Sogna una carriera come critico cinematografico e nel frattempo si diletta tra letture specifiche e visioni trasversali. Lavora a stretto contatto con la follia o forse è la follia a lavorare su di lui. Se fosse un regista sarebbe Winding Refn, uno scrittore Philip Roth, un animale una tartaruga. Ha pronto uno script per un corto ma non lo ha mai fatto leggere. Citazione preferita: "La dittatura è dentro di te" Manuel Agnelli.