A dieci anni di distanza tornano gli infetti alla Danny Boyle, stavolta più simili ad acrobati circensi.
Un’azienda farmaceutica inglese crede di aver scoperto un nuovo e rivoluzionario integratore per sportivi, ma quando lo sperimenta su trentamila cavie umane,queste subiscono durissimi effetti collaterali che causano mutazioni genetiche. Nel giro di poche settimane tutti loro, tranne una, si trasformano in feroci cannibali che trasmettono il virus a forza di morsi, cosicché il colosso farmaceutico è costretto ad affidarsi al mercenario Cole nel tentativo di rintracciare l’unica sopravvissuta ai test e trovare una cura.
Il tempo dei morti viventi romeriani è lontano e così anche la figura dello zombie che lascia spazio a una nuova tipologia di mostri: gli infetti. L’invasione e il propagarsi dell’epidemia, infatti, non avviene più perché i morti resuscitano, simbolo di una pestilenza mandata dall’alto per punire l’arroganza dell’uomo, ma a causa di qualche elemento patogeno che sfugge al controllo umano o, come nel caso di Devil’s Playground, dopo dei normalissimi esperimenti per testare un nuovo farmaco.
Bart Ruspoli (sceneggiatore) e Mark McQueen (regista) imboccano la strada tracciata ormai dieci anni fa da Danny Boyle nel suo 28 giorni dopo, riprendendone temi e personaggi, ma soprattutto gli zombie, non più morti che barcollano per le strade, ma essere infernali che corrono veloci come saette. Se però nel film di Boyle, l’infezione era una versione umana della rabbia, in Devil’s Playground la teoria scientifica si fa ancora più reale e concreta e prende le sembianze di un qualunque prodotto testato da un’azienda farmaceutica.
Lo sviluppo della storia è (inevitabilmente) qualcosa di già visto, con un manipolo di sopravvissuti che, in una Londra in piena Apocalisse, cercano scampo dalla ferocia antropofaga di questi demoni scesi in terra, per cui ad autore e regista non resta che lavorare sugli zombie che quindi acquistano improbabili capacità circensi, trasformandosi in acrobati figli di Jackie Chan o nipoti di Bruce Lee. Altro elemento “innovativo” è che la fuga dei sopravvissuti non è soltanto finalizzata alla propria salvezza, ma alla protezione dell’unica persona in grado di permettere la creazione di una cura. Da qui il lato action del film che per certi versi è una versione “con Rambo” del mito degli zombie e qui Rambo è Cole che incarna il classico eroe dal passato tormentato e che trova nell’Apocalisse zombesca il modo per redimersi. Per il resto, i soliti contrasti tra esseri umani che si rivelano, per l’ennesima volta, ben peggiori e pericolosi degli zombie, e un finale eroico in cui due membri del gruppo si sacrificano per salvare l’unica speranza di guarigione del pianeta.
Devil’s Playground è interessante e meritevole per la teoria “scientifica” da cui parte il contagio, davvero inquietante, ma meno saldo nello svolgimento della storia che vira troppo sull’action (bella e adrenalinica la scena di inseguimento nel parcheggio sotterraneo), trascurando il lato horror e gore (le scene dei banchetti degli zombie sono quasi sempre ripresi dall’alto e nascondono le vittime).
About Marcello Gagliani Caputo
Giornalista pubblicista, scrive racconti (Finestra Segreta Vita Segreta), saggi sul cinema di genere, articoli per blog e siti di critica e informazione letterario cinematografica, e trova pure il tempo per scrivere romanzi (Il Sentiero di Rose).