Esce domani, venerdì 15 giugno, in 220 sale su tutto il territorio italiano, il primo film horror (e in 3D) dei Manetti Bros: Paura. Grandi amanti ed esperti del cinema di genere, li abbiamo intervistati per voi.
Sono passati 12 anni da Zora la vampira, commedia horror in cui un singolare Conte Dracula – dopo aver assistito a una puntata di Carramba che sorpresa – decide di mollare la Transilvania per stabilirsi in Italia. Da allora, abbiamo visto i due fratelli romani alle prese con lungometraggi (Piano 17 e L’arrivo di Wang), serie TV (L’ispettore Coliandro e Crimini) e decine di videoclip (Tiromancino, Assalti Frontali, Max Pezzali, Piotta, Alex Britti…). Ma è appunto questo l’anno in cui vedremo al cinema il loro primo, vero lungometraggio horror. Paura 3D.
Primo lungometraggio horror e primo film in 3D, Paura, racconta la vicenda di tre ragazzi Marco, Simone e Ale – amici da un sacco di tempo – che vivono in un “noioso” quartiere nella periferia.
I ragazzi si ritrovano in mano le chiavi di una bellissima villa fuori città, la villa del Marchese Lanzi, che sarà via per tutto il fine settimana.
Il Marchese è un tipo strano, un ricchissimo collezionista d’auto d’epoca, cliente dell’officina dove lavora Ale. I tre ragazzi non resistono e si tuffano nel lusso della villa. Ma c’è un’unica cosa che non dovrebbero fare: andare in cantina…
Questo è il vostro primo film horror, nonostante abbiate dichiarato più volte la vostra passione per il genere. Come mai solo oggi? Aspettavate l’idea giusta o avete dovuto combattere per farla accettare?
Ah, beh, noi abbiamo smesso di combattere per far accettare le nostre idee, abbiamo iniziato a produrci da soli film a basso budget in collaborazione con una squadra di produttori che credono in noi (tra cui la Pepito Produzioni di Agostino Saccà) e ci seguono nella nostra strada proprio. Non so se ci fosse un po’ di ansia di prestazione precedentemente o se, semplicemente, non ci era ancora venuta la storia giusta. Perché le storie ti arrivano in testa così, per mille motivi non per il “genere” che hai voglia di affrontare. Però ora è come se si fosse rotto un argine, da qualche mese ci vengono in mente solo storie horror, in tutte le sue sfumature.
E’ sbagliato dire che Paura, in qualche modo, si nutra dell’eco della (gloriosa) eredità del cinema italiano degli anni 70, fatta di thriller a tinte fortissime?
Diciamo che Paura trae molto vantaggio dall’essere un film horror italiano, perché noi italiani siamo sempre riusciti ad affrontare certi temi e a buttarci a capofitto in certi abissi che gli americani hanno un po’ paura di affrontare. Certo hai ragione a citare gli anni ’70 perché il cinema italiano dopo di quegli anni questa caratteristica coraggiosa l’ha persa quasi completamente. Il nostro cinema è diventato il più politically correct, asettico e ideologicamente poco coraggioso del mondo. Ma noi conosciamo il nostro passato e sappiamo ancora scavare nella parte più nera della nostra anima.
In cosa il vostro film si distacca da quelli dei maestri del passato?
Beh, si distacca perché è un film girato in questi anni da noi che abbiamo un’altra storia e viviamo in un’altra epoca. Non abbiamo fatto un’opera citazionista o un’operazione di modernariato. E’ cinema di oggi che si appoggia volentieri, sulle spalle e sulla tradizione del cinema italiano di quell’epoca.
Di chi è la colpa (se di colpa si può parlare) se in Italia ormai è così difficile fare un film che esca dai canoni della commedia all’italiana o del poliziesco?
Magari si facessero film polizieschi in Italia, sarebbe una cosa in più. Solo qualche blanda fiction, al cinema non c’è neanche il poliziesco. Solo cinema d’autore e commedie.
I colpevoli (o responsabili) sono tanti e ci vorrebbe un’intervista solo su questo argomento e forse neanche basterebbe: è un argomento da approfondire, interessante e doloroso per chi come noi ha deciso di battere per sempre su questo chiodo.
Ti cito al volo qualche responsabilità: la grande crisi culturale in cui naviga il nostro paese ben precedente a quella economica, un certo tipo di finanziamento statale che ha sia appiattito o comunque “ristretto” la tipologia di film proponibili (difficile considerare Cannibal Holocaust di “interesse culturale nazionale” no?), sia ucciso il mercato e forse anche l’appiattimento di certe tematiche dal momento in cui ha iniziato ad occuparsene solo la televisione generalista.
Preferite l’horror con o senza soprannaturale? Per intenderci, amate di più pellicole come Saw o come The Ring?
Come possiamo preferirne uno all’altro! Amiamo tutti i generi ed i sottogeneri dell’horror. Il nostro film è più vicino a Saw, ma abbiamo una parte finale in stile “fantasma” anche se il fantasma non c’è.
Quali problemi avete incontrato nel momento in cui avete cercato di realizzare un horror “puro”? Ci sono stati dei momenti in cui avete sentito della diffidenza?
Come ti ho già detto ci siamo costruiti una certa situazione di libertà e abbiamo trovato dei finanziatori che hanno la voglia suicida di seguirci. Ma il problema in Italia c’è ed è dura.
Il vostro percorso professionale vi ha portati a sperimentare molto dal punto di vista della tecnologia, il che vi ha consentito di realizzare film a bassissimo budget ma ricchi di idee come Piano 17 girato in digitale. E’ questa l’unica via di salvezza per il nostro cinema, incapace di realizzare pellicole milionarie come quelle made in USA?
La volontà, la passione e l’amore sono le uniche vie per iniziare a scavare. Ma tutti aspettiamo l’avvento di una mega trivella che allarghi le pareti del tunnel!
E’ sbagliato dire che il cinema italiano, più che figlio delle idee sia schiavo del budget? Vi sentite limitati nel vostro lavoro oppure pensate che le difficoltà diventino occasione per essere creativi e originali?
Da una parte sarebbe bello dirti che le difficoltà non ci sono e che produrre il cinema che ci piace in Italia è facile. Dall’altra sì, penso che le difficoltà aiutino a stimolare la creatività. Con meno soldi sei costretto a fare film migliori, più coinvolgenti, forti e originali. Quindi facciamo di necessità virtù e non ci lamentiamo.
Paura è il vostro primo film in 3D. Ormai questa è una via che sembra obbligata: ci si deve passare per forza. L’avete trovata una soluzione stimolante?
Non credo sia ancora una via obbligata. Forse lo diventerà, chissà… ma ci vuole ancora qualche salto tecnologico, bisognerà, per esempio, liberarsi degli occhiali. Il nostro film, come tutti, uscirà anche in 2D e per il momento la soluzione è quasi obbligata. Quindi a chi non piace il 3D può sempre fare questa scelta. In quanto allo stimolo, sì, girare il film in 3D è stato estremamente stimolante. Molto difficile, soprattutto i primi giorni di set (per non parlare della post produzione) ma siamo entusiasti del risultato!
Avete scritto il film pensando che sarebbe stato girato in 3D oppure di questo vi siete preoccupati solo una volta che vi siete messi dietro la macchina da presa?
Ci abbiamo pensato anche un po’ in scrittura, ma pochissimo. Soprattutto è quando fai le inquadrature che inizi a pensare in 3D.
Pensate di ricorrere ancora all’uso del 3D o è stato un esperimento una tantum?
Chi lo sa. Al momento non ci stiamo pensando più di tanto. Ma chissà, magari tutti o uno dei progetti a cui stiamo lavorando prenderà la luce in 3D. Non lo escluderemmo…
Cos’è la paura per i Manetti Bros?
La paura ha milioni di facce.
Nel nostro film cerchiamo di parlare di alcuni tipi di paura.
La paura di morire.
La paura del dolore fisico.
L’angoscia, la più irrazionale delle paure, dove a volte, delle cose innocenti ti fanno più paura di quelle efferate. Forse perché dietro quell’innocenza si nasconde una componente di malattia ben più agghiacciante della violenza fisica.
La suspence, la sensazione che forse qualcosa di tremendo sta per succederti.
Ma anche la paura essere inadeguati.
La paura di perdere la propria condizione.
La paura di vivere una vita relegata alla serie C.
Se nel vostro prossimo film poteste scegliere senza limiti di budget un attore italiano o straniero a vostra scelta, chi vi piacerebbe dirigere? E perché?
Ma non so… difficile rispondere a questa domanda, perché un attore è irrimediabilmente legato al suo ruolo e quindi con ruoli diversi hai voglia di lavorare con attori diversi.
Ma provo a darti una risposta.
Abbiamo appena visto a New York, in una bellissima sala IMax in 3D, Prometheus. Ti cito due attori presenti in quel film, ma sono veramente due attori che ci piacciono molto al momento e che, soprattutto per lui, la presenza in quel film è quasi incidentale.
Lei è Noomi Rapace. E’ un’attrice fantastica, ispira tantissimo e in Prometheus supera se stessa dando una dimostrazione colossale. C’è soprattutto una scena che credo entrerà nella storia del cinema horror e fantastico e che non oso spoilerare. Lei la interpreta con una profondità tale da renderla una scena che rimarrà per sempre. Noomi Rapace sarebbe la protagonista perfetta di un film che stiamo scrivendo adesso.
Lui è Idris Elba, anche lui è presente in Prometheus in una parte niente male, ma dove davvero eccelle è nella serie tv inglese di cui è protagonista: Luther. Una serie scritta in modo un po’ strano ma retta completamente da grandi interpretazioni, soprattutto la sua. Quando si è chiacchierato di un potenziale remake dell’Arrivo di Wang, io e mio fratello abbiamo segnalato lui come interprete ideale del dottor Curti (da noi interpretato da un Ennio Fantastichini in stato di grazia, altro sogno diventato realtà) di un eventuale remake in lingua inglese.
About Andrea G. Colombo
E’ qui praticamente da sempre. Ha dato vita a Horror.it, Horror Mania (la rivista da edicola) e Thriller Mania. E visto che si annoiava, ha pure scritto il romanzo Il Diacono. Si occupa della gestione del sito rinchiuso nel suo antro dal quale non esce quasi mai. Risponde alle mail con tempi geologici.