Editoria Frankenstein -La città dei dannati di Dean Koontz

Frankenstein -La città dei dannati di Dean Koontz

Dean Koontz’ Frankenstein: recap. Il mostro di Frankenstein, la creatura resa celebre dal romanzo di Mary Shelley, non solo è realmente esistita ma, a distanza di due secoli dalla tempesta elettromagnetica che lo strappò alla morte, è ancora vivo e vegeto.

Dopo un’esistenza tumultuosa, passata tra freaks alla Todd Browning e rifiuti della società, ha trovato la pace interiore in un monastero tibetano. Come un eroe DC Comics è tornato dalla sua Nanda Parbat con un grande potere – può piegare a suo piacimento le leggi della fisica, muovendosi nello spazio a velocità supersonica – e una missione senza ritorno: far fuori una volta per tutte il suo creatore crudele, il dottor Victor von Frankenstein. Sotto le mentite spoglie del magnate delle biotecnologie Victor Helios il medico – anche lui bicentenario – ha creato un esercito di superuomini che si è infiltrato a tutti i livelli della società. Dal suo quartier generale nel nuovo mondo, New Orleans, partirà alla conquista del globo soppiantando l’umanità con una «nuova razza». Solo la più antica delle sue creature, il mostro che ora si fa chiamare Deucalion, può fermarlo. Per farlo cercherà l’aiuto di due onesti e coraggiosi detective della omicidi, la cinica Carson O’ Connor e l’ironico Michael Maddison. Nessuno degli esseri plasmati da Helios, infatti, è in grado (letteralmente) di alzare la mano contro il suo padrone. La loro crociata dovrà fare i conti con un fattore imprevisto: la ribellione della nuova razza contro Victor. Nel primo volume (Frankenstein – L’immortale) Koontz si lancia nella rielaborazione del più grande classico gotico di tutti i tempi prendendo la via più breve: fare del “Mostro” un paladino della giustizia. Nel sequel di quella che è già una lunga saga, il super eroe con superproblemi mostra, fin dalla prima pagina, il suo lato oscuro. Una svolta prevedibile visto l’eccessivo – a tratti quasi ridicolo – buonismo che pervade il gigante nella sua prima avventura, portata avanti, ancora una volta, attraverso una ripida scorciatoia.

Per un Deucalion privo di tentennamenti, serafico, ascetico, eccone uno borderline, perennemente in bilico tra feroce autocontrollo del proprio lato omicida e abbandono godurioso alle gioie da sociopatico. Un rovesciamento di prospettiva che richiama il tema del doppio, che aveva dominato L’immortale e, come nel primo volume, viene sviscerato fino allo sfinimento delle potenzialità narrative e del lettore. Non il solo Deucalion nasconde dietro una facciata di solidità un vertiginoso crollo delle certezze, ma anche la sua nemesi Helios. Lo avevamo conosciuto come un mad doctor di incrollabile perfidia, scevro da dubbi e completamente spogliato del senso dell’umorismo, ma pur sempre geniale. Un fanatico scientista e uno scienziato senza pari. Ora scopriamo che le sue perfette creature (una specie di biorobot), costruite perché obbediscano ciecamente e agiscano in nome del pragmatismo, sono tutte portatrici di tarli, tanto informatici quanto esistenziali. Il serial killer protagonista della storia d’esordio, che andava alla ricerca di una “ghiandola della felicità” nascosta nel corpo umano attraverso lo squartamento di poveri malcapitati, era regola e non eccezione. Quasi tutti i prodotti della Hands of Mercy (la monster factory di Victor) conducono, di fatto, una doppia vita. Disobbediscono ai divieti imposti nella loro programmazione; apparentemente fedeli al “padre”, coltivano in segreto svariate forme di ribellione. C’è il finto prete che ha sposato la vera fede, il maggiordomo che tenta di suicidarsi mangiandosi un dito per volta e il nano nudo che vive nascosto nel giardino di Victor. Persino le catene di acido desossiribonucleico progettate da Frankenstein si danno all’autodeterminazione trasformando i suoi nuovi uomini in creature mutanti e originando forme di vita impreviste. Esseri senza nome votati alla lotta contro il tiranno responsabile della loro infelice nascita.

 Insomma, l’esercito destinato a spazzare via l’umanità sembra l’armata rossa alla vigilia del crollo della cortina di ferro. Una sottile metafora ossessivamente suggerita dall’autore. Come abbiamo scritto commentando L’Immortale, Koontz tiene particolarmente alla chiave di lettura politico-filosofica dell’opera originale. Il moderno Prometeo come parabola sulla caduta dell’Utopia. Il tentativo di tradurre il sottotesto della Shelley in una struttura di fiction adatta a un pubblico mainstream spinge fatalmente lo scrittore verso la forma del romanzo a tesi e lo fa cadere nella trappola dello schematismo. Uno schematismo che trova in Helios la sua peggiore manifestazione. La città dei dannati lo vede a braccetto con Hitler, Stalin, Mao e Fidel Castro, tutti grossolanamente accumunati dietro l’etichetta di “grandi cattivoni della storia” e finanziatori del progetto “conquista del mondo”. E se non sfugge l’autoironia sottesa a tali accostamenti se ne perde assolutamente il senso. Koontz occhieggia al lettore capace di cogliere il riferimento metatestuale e allo stesso tempo a quello che legge i totalitarismi del 900’ nell’ottica “Usa contro il resto del mondo”. Il risultato è un ibrido che finisce per scontentare entrambi. Stesso destino per i dialoghi tra Maddison e O’ Connor (e tra i due killer di Victor Benny e Cindy). La loro reiterazione come punteggiatura umoristica alle scene d’azione sembra coprire le voragini di trama più che creare un surplus. Finiscono per essere un rumore di fondo che dovrebbe (ma non riesce) distrarre dalla mancanza di tensione e di ritmo, nonché dalla debolezza con cui vengono costruiti i personaggi. Ai buoni quanto ai cattivi mancano obiettivi e motivazioni convincenti, messi tutti in conto a un orizzonte apocalittico in via di sbiadimento.

La città dei dannati si fa altresì terreno di un altro nodo cruciale del romanzo di Mary Shelley, quello della maternità. Perduta, negata, segnata dalla sofferenza tanto per chi genera che per chi viene generato. Orfana di madre, funestata dalla perdita dei primi tre figli avuti da Percy Shelley (la prima, mai battezzata, nata morta, il secondo, William (nell’immagine a sinistra la sua tomba), portato via a tre anni dalla malaria, la terzogenita uccisa dalla dissenteria) la scrittrice riversa nel suo Prometeo reietto, disamorato e senza nome, l’angoscia, tutta femminile, per l’incapacità di proteggere la vita. Proietta (nella figura del creatore maschile Victor) il senso di colpa di una donna che ha scelto una carriera non femminile (la scrittura) e un matrimonio malvisto dalla famiglia e sente di scontare nella sua sfortuna di madre le scelte di una vita. Anticipa, tra angoscia e liberazione, l’idea di una procreazione non più schiava del genere, destino biologico del secondo sesso. Koontz rimescola le carte e traduce ogni sfaccettatura di quel nodo in un personaggio. Ci offre una donna della nuova razza, Cindi, segnata dalla sterilità impostale da Helios e dal desiderio di unire le sue due grandi passioni, l’assassinio (funzione per cui è stata progettata) e la procreazione (funzione per cui si sente destinata) al punto di trasformarci in una Mary Terror. Un uomo, Jonathan Harker, che per scissione origina un nuovo essere, sacrificando ad esso il proprio organismo. La nuova entità creata dalla mescolanza del dna di uomini e donne (sia della vecchia che della nuova umanità) sepolti in una discarica. Una moglie, Erika, la compagna di Victor, continuamente creata in laboratorio e poi distrutta, perché incapace di soddisfare il desiderio di perfezione del suo signore e padrone. Un ragazzo autistico, Randal, che ha un numero per cognome e desidera visceralmente appartenere a una famiglia. Una declinazione completa, in effetti, ma portata avanti con scolastica precisione. Consapevole, laddove la Shelley muoveva interdetti dello spirito, eppure superficiale.

Leggendo l’Immortale ci eravamo domandati se Koontz avesse scelto di puntare a una nuova audience, lontana da quella dell’horror, consapevolmente. Eravamo arrivati al punto di chiederci se fosse stato, il suo, un crimine senza vittime, visto l’assottigliamento progressivo dello zoccolo duro degli appassionati del genere. Ora la questione ci appare addirittura più estrema. Cosa ha spinto Kontz a fare del suo Frankenstein un’opera seriale, la necessità narrativa o quella editoriale? Resta la spiacevole sensazione che La città dei dannati sia stata scorporata dal primo volume solo in un’ottica commerciale e si spera che dal terzo episodio Koontz, svincolato dal lavoro a sei mani con i coautori (Kevin J. Anderson ed Ed Gorman), riesca a trovare una via per il suo Frankenstein. Decidendo, una volta per tutte, se il suo vuole essere un divertissement per smaliziati appassionati di cultura pop o un sano vecchi romanzo horror, o impegnandosi a fondo per renderlo entrambe le cose, operazione difficile, ma non certo impossibile. Decisamente alla portata di un autore del suo calibro. Senza restare appeso in un meccanismo perverso dove non si capisce come e in quale direzione la storia debba proseguire e chi legge si pone la più atroce delle questioni: perché diavolo sto leggendo questo libro?

Frankenstein - La città dei dannati - VOTO: 2/5

Anno: 2005 - Nazione: Usa - Pagine: 305 - Prezzo: € 14,90
Autore: Dean Koontz
Edito da: Sperling&Kupfer
Traduttore: Tullio Dobner
Data di uscita in Italia: maggio 2012 - Disponibile in eBook: disponibile

About SelenePascarella
Selene Pascarella è nata a Taranto nel 1977. Si è laureata alla Sapienza di Roma 23 anni dopo, con un tesi dedicata a Mario Bava, Lucio Fulci e i maestri dello spaghetti horror dal titolo "Estetiche di morte nel cinema dell'orrore e del fantastico". Giornalista per professione e per vocazione si occupa di cinema, tv, narrativa di genere e cronaca nera. Nel 2011 ha pubblicato, assieme a Danilo Arona e Giuliano Santoro, il saggio "L'alba degli zombie. Voci dall'apocalisse: il cinema di George Romero" (Gragoyle). Tra il 2012 e il 2013, Maya permettendo, ha curato il format 2.0 DiarioZ_Italia per Multiplayer.it.

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