Appena uscito nelle sale britanniche Elfie Hopkins, black comedy dalle premesse non proprio esaltanti.
Più che una moda dalle velleità revisioniste e celebrative, la tendenza al favoleggiare d’orrore può forse definirsi l’ennesimo banale tentativo di fare mercato ostentando presunta originalità. In letteratura numerose fiabe furono modellate nei contenuti in senso oltremodo violento per far si che l’immaginazione, lontana dai saccadi oculari, potesse alimentare la rappresentazione di una figura poco ansiogena, non minacciosa, elaborata dal bambino, con l’aiuto di un adulto, in senso per antonomasia fantasioso, non memorizzabile e di conseguenza non estendibile alla raffigurazione sia in fase onirica che di veglia. La morale diveniva così obiettivo perseguibile perché l’infante non era sottoposto allo stress legato a pensieri terrorizzanti ma poteva soffermarsi maggiormente sul calore genitoriale e sul feedback psico-pedagogico. Il voyerismo, tipico degli adolescenti in “calore” orrorifico, ha proprio la connotazione tipica dell’iniziazione. Dalla favola si passa alla ricerca quasi masochistica della paura vera, poiché si ha bisogno di crescere guardando in volto i propri mostri, gli archetipi della minaccia mortale cristallizzati nelle fiabe, a costo di star male, magari sublimando il tutto con lo sghignazzare e col fragore in compagnia. Viene da sé, quanto possa apparire sacrilego e poco responsabile mischiare troppo le carte, estendere l’entrata in sala anche ai più piccoli magari semplicemente avvalendosi del credit di favola. Certo Tim Burton ha incontrovertibilmente fatto di questo stile il suo marchio di fabbrica ma sempre rivolgendo le sue attenzioni ad un pubblico adulto e consapevole, raffinato, quasi snob, capace di leggere e quasi empatizzare tutta la malinconia e l’angoscia del cineasta di Burbank, la sua maestria sopraffina, tipica di colui che ha sbancato Hollywood attraverso icone leggere ma intrise d’inquietudine e turbamento.
Lo stesso o quasi si può dire di un ampia branca del Cinema dell’estremo Oriente, basti pensare a Hayao Miyazaki e al suo cartoon vivido e straziante. Ci vuole grazia e grande abilità per fare uno spettacolo delicato ma forte, in grado di equilibrare alla perfezione i prodromi di generi così distinti. Joe Dante con Gremlins (1984 ) e Jhon Carpenter con Grosso Guaio a Chinatown (1986) hanno indubbiamente segnato la storia del Cinema di questo sottogenere, sbancando (il primo al botteghino, il secondo in home-video) con il fanta-horror favolistico ed è forse a questi due grandi autori che deve la sua ragion d’essere un film come Elfie Hopkins. Va ricordato però che sia nel caso di Dante, che in quello di Carpenter, il virare su toni più efebi ha si significato allargare il target a potenziali nuovi fruitori, ma ha anche dato vita a dissapori fra i più puristi.
Nell’ultimo periodo rinnovare le fiabe in tinte nere appare tendenza dominante, basti pensare a The Woman in Black, appena uscito nei nostri cinema, tratto da una novella di Susan Hill e diretto da James Watkins o a Saint (2010) di quel pazzo di olandese di Dick Maas, non ancora uscito in Italia e pronto a presentarci demoniaca la figura di Santa Klaus, una specie di Grinch (2001,Ron Howard) molto ma molto più bastardo. Gli esempi sono moltissimi, si va da fallimenti miserabili come Cappuccetto Rosso Sangue (2011,Red Riding Hood) a lavori più interessanti come I Fratelli Grimm e l’incantevole Strega (2005,Terry Gilliam) ed ovviamente Il Labirinto del Fauno (2006) di Del Toro. Gli esempi più oltraggiosi di Horror Tale sono stati forse L’Hansel e Gretel (1986) del nostro Marco Castellini e Biancaneve nella Foresta Nera di Michael Cohn del 1997, due perle di rara bruttezza al limite del guardabile ma intrise di simpatica irriverenza. Presto Biancaneve sarà riadattata in chiave Horror dai produttori dell’Alice in Wonderland burtoniana. Staremo a vedere. Il tutto puzza di cross over tirato per i capelli, di sfruttamento ai limiti del colonialismo in celluloide, di presunta sfida ai limiti del buon gusto e del buon senso .Questo non perchè l’Orrore debba essere sempre mostrato, anzi, ma piuttosto perchè certi stilemi non nascono a caso, sono frutto di una filosofia e di una psicologia mutuata in arte visiva ultradecennale, in cui i fotogrammi degli storici film Hammer o Universal hanno in comune con quelli Lionsgate lo stesso obiettivo da sempre: fare paura ad uno spettatore che possa godere appieno di quella sensazione. Può una Favola fare paura? Forse, ma non è per quello che viene inventata, semmai per il contrario.
Veniamo al film. Elfie Hopkins è un film britannico uscito nelle sale di Sua Maestà lo scorso venti Aprile. Il distributore americano è ancora inattivo e non ci è dato sapere quando vedremo il film in Italia.
Questa commedia favolistica dalle tinte oscure narra le vicende di colei che fornisce il titolo alla pellicola, Elfie Hopkins, ventiduenne fannullona e naturalista, amante di libri gialli e con una storia famigliare triste e complicata. La ragazza vive in un villaggio semi sperduto della campagna gallese ed ha come unico amico Dylan, nerd e ricco di immaginazione. I due si ritrovano ad indagare seriamente quando al villaggio giunge la famiglia Gammons, facoltosa e radical chic. I nuovi villeggianti sembrano ammaliare tutti i residenti i quali, poco a poco, scompaiono. Ufficialmente sono vacanzieri nelle splendide residenze esotiche dei Gammons in giro per il globo ma qualcosa non torna. Persino Elfie subisce il fascino dei Gammons ma, grazie alle indagini condotte con il fido Dylan, riuscirà appena in tempo a scampare il pericolo scoprendo, sorprendentemente, che dietro a quell’aspetto borghese e ben pensante si cela una tremenda verità. I Gammons sono antropofagi e assassini seriali e dopo aver sterminato metà villaggio ora vorrebbero cibarsi delle tenere carni dei due giovani ficcanaso.
Elfie Hopkins verrà affidato alle mani dell’esordiente Ryan Andrews, il quale, dopo una miriadi di corti più o meno riusciti, si cimenta nel suo primo grande lavoro. Andrews affida la messa in scena ad un cast composto non proprio da star di fama assoluta, eccezion fatta per Ray Winstone, che dopo i fasti di Hugo Cabret (2011, Martin Scorsese), Beowulf (2007, Robert Zemeckis) e Departed (2006, Martin Scorsese) si presta al cameo del macellaio, confermandosi caratteristica caleidoscopico dotato di grande senso dell’humor. Per la parte di Elfie la scelta è caduta sulla figlia del grande Ray, Jaime, classe 1985, al debutto nel mondo dell’Horror dopo la demenziale commedia targata Adam Deacon Anuvahood (2011). Non così per Aneurin Barnard, aka Dylan, già visto nel controverso micro-mock Guinea Pigs (2009, diretto dallo stesso Barnard), da non confondersi con la serie seminale super gore e fake-snuff prodotta da Hideshi Hino nel 1984. Altro nome che forse suonerà familiare a qualcuno è quello di Kimberly Nixon, bionda inglesina dal viso angelico vista nello sciapo Black Death, polpettone dalle pretese gotico-espressioniste di Critopher Smith del 2010.
Progetto iniziale della Produzione, in particolar modo della Black and Blue films, era investire nel 3D, motivo per cui tra ripensamenti vari, il film esce dopo quasi cinque anni di gestazione in un classico 2D probabilmente più calzante, considerata la storia imperniata più sulle atmosfere che sull’exploitation. In Inghilterra distribuirà la Kaleidoscope, label che già si era occupata di titoli interessanti come Night of The Demons (2009,Adam Gierasch) e Bikini Girls on Ice (2009), quest’ultimo slasher scarmigliato, succoso, ottimo per un dopo cena fra vecchi compagni di sbronze.
Lo script di Elfie Hopkins vede tra gli autori, oltre allo stesso Andrews, Riyad Barmania, produttore della serie TV di successo The Proxy, fanta-thriller che oltremanica sta avendo discreto seguito.
Parlando di impressioni positive non si può certo omettere un commento sul trailer, dalle ottime fattezze, ben montato e con una fotografia intensa, un uso di colori netti, quasi come se si stesse usando tecnologia di generazione 70’s. Inoltre il Cinema di genere inglese ultimamente fa le cose per bene, un po’ come citerebbe il gingle di una celebre industria casearia e, last but not least, le prime impressioni giunte dall’Irlanda, dove il film è uscito in anteprima, sono state più che positive. Aspetteremo l’arrivo da noi senza strapparci i capelli ma con una doverosa curiosità.
Buona visione.
About stefano paiuzza
Appassionato d'horror da tempi recenti ma affascinato dalla paura da sempre. Ama in particolar modo il cinema europeo ed extra hollywoodiano in genere. Sogna una carriera come critico cinematografico e nel frattempo si diletta tra letture specifiche e visioni trasversali. Lavora a stretto contatto con la follia o forse è la follia a lavorare su di lui. Se fosse un regista sarebbe Winding Refn, uno scrittore Philip Roth, un animale una tartaruga. Ha pronto uno script per un corto ma non lo ha mai fatto leggere. Citazione preferita: "La dittatura è dentro di te" Manuel Agnelli.