Una casa infestata dai fantasmi, uno scrittore in cerca di ispirazione, contatti, apparizioni, finale tragico. Che film è?
Se avete detto Shining avete sbagliato, mentre se avete detto 1408, pure. In questo caso stiamo parlando di 19 Doors, dell’americano Bruce Koehler, già regista di End Game e River of Darkness, che in questa pellicola si cimenta anche negli effetti speciali. Anche se, per essere proprio pignoli, non se ne sono visti tanti, e quei pochi lasciano un po’ perplessi.
Volendo essere generosi questo film non sarebbe neanche da buttare, se non fosse per un montaggio (veramente terribile) opera dello stesso regista: i tempi morti sono la normalità, i passaggi da un personaggio all’altro, operazione necessaria per seguire il dialogo, completamente sbagliati. L’entrata in scena delle apparizioni è ridicola, e toglie tutto il pathos che faticosamente si intravede ogni tanto. A questo si aggiungano diversi errori di continuità e almeno un anacronismo grave.
La trama può essere riassunta in poche righe: Bob (Brian Koehler), agente di Grace Mitchel (Natalie Bail), le propone di scrivere una storia basata su un albergo maledetto, e per aiutarla nell’ispirazione, le consiglia di andare al Lyndora Bar, un locale abbandonato da anni nel quale sono stati commessi numerosi omicidi, addirittura uno per ognuna delle 19 stanze, da cui il titolo. Grace accetta nonostante le perplessità di amici e familiari, prima fra tutti la figlia Eva (Caitline O’Connor), e si insedia nell’albergo. Da quel momento inizierà una serie di fenomeni paranormali inquietanti, almeno nella fantasia di Jacqueline Druga, autrice della sceneggiatura, che porteranno Grace sull’orlo della follia.
Purtroppo la mancanza di momenti veramente terrificanti non è l’unica pecca di questo film. Oltre al montaggio pessimo, va registrata l’assoluta inadeguatezza dei dialoghi, ridicoli anche in versione originale. Gli effetti speciali cadono spesso nel ridicolo, come nell’immagine qui sopra in cui una “terrificante” presenza dietro alla protagonista, butta una bella occhiata in macchina.
La parola che viene in mente più spesso durante la visione del film è “imbarazzante”.
Il fatto che si tratti di un'”opera seconda”, non giustifica il regista-montatore, che avrebbe decisamente potuto fare un lavoro migliore semplicemente tagliando pochi secondi dalla maggior parte delle riprese. Probabilmente questo avrebbe accorciato il film di una decina di minuti, ma sono convinto che il risultato finale sarebbe stato enormemente migliore.
About overhill
Nato a Torino, dove si occupa di informatica per lavoro e musica per diletto. Scrive e pubblica due romanzi, "Dove la notte inizia" e "Tabula rasa", e mentre lavora al terzo scrive sceneggiature per film e fumetti. Collabora con "Horror.it" a tempo perso, per divertimento e per approfondire la conoscenza del vasto mondo dell'horror. Ma più per divertimento.
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