“Horror of Dracula” è puro distillato del Fisher Touch hammeriano.
Il glorioso “Dracula” della Hammer con protagonisti Christopher Lee e Peter Cushing. Difficile proporre qualcosa di nuovo sul “Dracula” di Fisher. Una pellicola storicamente fondamentale nella ricostruzione del genere dopo gli anni targati Universal e la crisi vissuta a cavallo della Seconda Guerra mondiale. Impossessandosi dei diritti dei “mostri” noti e meno noti, la Hammer compie il definitivo passo verso la grandezza filmica, affidando il timone principalmente a Terence Fisher per la regie e a Jimmy Sangster per le sceneggiature, almeno per i primi anni (in seguito grande e giusto spazio avranno Anthony Hinds e Michael Carreras).
Fisher è regista rigoroso, il “suo” Dracula narra essenzialmente del dualismo etico/filosofico che contrappone i due protagonisti principali, il Conte e il Dr. Van Helsing, lasciando sullo sfondo i personaggi ritenuti secondari e utili solo allo svolgimento della trama. Il fondamentale passaggio dal bianco e nero Universal alla fotografia a colori del grande Jack Asher permette a Fisher di concentrarsi in massima parte sulla fisicità dei due antagonisti, Peter Cushing/Van Helsing, gelido, arrogante, implacabile quasi quanto la controparte vampiresca impersonata dal magnifico Lee, un Dracula ferino e violento, lontanissimo dalla teatralità barocca di Bela Lugosi, quasi una belva feroce, naturalmente assetata di sangue femminile, che deve mettere in risalto la forte componente sessuale legata al mito di Vlad Drakul.
Un cinema classico, che più classico non si può, in cui il Bene e il Male non hanno alcuna possibilità di dialogo (Fisher addirittura negò il classico campo-controcampo tra Dracula e Van Helsing, proprio per ribadire la totale incomunicabilità tra i due), ancora incontaminato dalle derive pulp-morbose tipiche della produzione successiva, “Horror of Dracula” è puro distillato del Fisher Touch hammeriano, maestoso, impietoso, financo influenzato dal mèlo (vedi il bellissimo “The Two Faces of Dr.Jekyll”) che consegna alla storia la figura vampiresca con cui i cineasti della next generation dovranno necessariamente fare i conti per la rielaborazione del mito. Il primo piano del vampiro con i canini sporchi di sangue è immagine fiera e indelebile nell’immaginario collettivo vampirico e non; non più figura evanescente ed enigmatica, il vampiro di Lee è minaccia vera e palpabile, una creatura che brama il sangue e la carne, l’irruzione della sessualità nella fredda società vittoriana che trova come unico difensore Cushing/Van Helsing, non uomo depositario della fede, attenzione, ma scienziato votato alla distruzione della “peste” vampirica.
Film imprescindibile, tanto che lo stesso Fisher attese ben sette anni prima di mettere mano ad un sequel ufficiale, il bellissimo “Dracula, Principe delle Tenebre” (1965), in cui, addirittura, non compare Cushing (sostituito dallo Shandor di Andrew Keir) e Lui, il Conte, è assente per metà film. Grande parto dell’accoppiata Fisher/Sangster, pietra miliare del genere (senza contare, ovviamente, la medesima rielaborazione compiuta sul “mito” di Frankenstein) in cui si riconoscono i volti di Michael Gough, Carol Marsh, Melissa Stribling e Miles Malleson, caratterista molto amato da Fisher, contorno necessario alle imponenti e indimenticabili figure di Cushing e Lee, giganteschi e inimitabili. Capolavoro.
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