Demons Never Die

 Perchè un serial killer mascherato se ne va in giro a uccidere proprio chi ha già deciso di che morte morire?

 Essere “emo”, ormai, è una moda. Giovani truccati e vestiti di nero, con i capelli tinti e stirati e la frangetta davanti agli occhi, vanno in giro per le strade a manifestare il proprio dolore. Non possono fare nulla per cambiare le cose, quindi, l’unico modo per svelare al mondo  tutta la propria sofferenza è quello di decidere da sé come, quando e quanto soffrire.

L’esordiente Arjun Rose, sfruttando la tendenza del momento e il fascino che Robert Sheehan, protagonista della serie televisiva Misfits, ha sui teenagers realizza Demons Never Die, uno slasher movie moderno (o meglio: un horror urbano) incentrato sulle vicende di un serial killer che perseguita un gruppo di aspiranti suicidi.

Dopo il suicidio di una compagna di college, Archie e il suo gruppo decidono di imitarla. Fondano il gruppo dei Suicide Kids e, a turno, decidono di uccidersi riprendendo l’evento con una videocamera amatoriale. Ma più pensano al miglior modo possibile per togliersi la vita e più non ci riescono. C’è qualcuno (o qualcosa) che prende il sopravvento e li uccide prima che possano farlo loro (o, quantomeno, ripensarci). Ma chi è, dunque, questo killer mascherato? E perché vuole uccidere proprio loro che hanno già deciso di che morte morire?

Quello che sembra un tipico gruppo alla Scream finisce ben presto per diventarne la parodia. I protagonisti sono dei collegiali vuoti e senza valori che fanno discorsi logorroici e noiosi. Quando gli viene proposto, infatti, un party a base di sangue non ci pensano due volte a recarcisi in massa (muniti di vibratori!). Il killer mascherato, assolutamente al di sopra di ogni sospetto (!), gira intorno al gruppo di ragazzi come un falco rapace che ha già puntato le sue prede. I suoi delitti e il suo modo di agire cercano di imitare quello di uno stanco e affaticato Jasoon Vorhees, roba che riporterebbe in vita, di nuovo, sua madre!

Ma, oltre a protagonisti con cui non si potrebbe empatizzare nemmeno per finta, quello che risulta più sconvolgente (e che fa incazzare subito) è l’idiozia dei due detective che dovrebbero proteggere i protagonisti. Convinti che i ragazzi cerchino semplicemente un modo per attirare l’attenzione su di sé (cosa che, per inciso, è relativamente vera), continuano a sostenere che i delitti siano, semplicemente, suicidi. Solo dopo la terza morte brutale e violenta, infatti, ammettono che, forse, c’è un maniaco serial killer che se ne va in giro ad uccidere la gente. Insomma, una sceneggiatura che fa venire la pelle d’oca al solo pensiero.

La fotografia perennemente scolorita e, alternativamente, esasperatamente vivace (chiaramente ispirata a quella di Misfits), e il montaggio dinamico e ritmato, cozzano prepotentemente contro una musica fastidiosa e ridondante che, spesso, sovrasta i dialoghi tra i personaggi. Brani arrabbiati e furibondi smettono di infastidire lo spettatore solo quando la voice over del narratore irrompe in scena. E così, davanti allo uno scenario allucinante e allucinato che ci è stato proposto, non possiamo far altro che ricordarci che ognuno di noi ha le proprie paure e i propri demoni da combattere. Quotidianamente.

 

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