Un pugno in faccia, un fiotto di sangue, una vita che ricomincia a pulsare, sotto la spinta degli istinti primari.
Un pugno che sblocca l’anima e la mente del protagonista che finalmente lascia scorrere il sangue e dentro e fuori sè stesso per ottenere ciò che più desidera. TOKYO FIST scritto, montato, curato, da Shinya Tsukamoto è un film violento, inconsueto, ovviamente colorato di rosso.
Yoshiharu e Hizuri sono una coppia perfetta, entrambi legati alla tradizione, benpensanti e benfacenti, sono lontani da ogni eccesso e incompiutezza. La loro compunta e sistematica quotidianità di coppia prossima al matrimonio viene interrotta dall’arrivo di Kojima amico di Yoshiharu. Quest’ultimo vede il suo mondo minacciato e prima fra tutti cerca di proteggere la sua donna e di tenerla lontana da Kojima. Quando però capisce che Kojima si è preso Hizuri l’uomo medita vendetta. Cerca di combattere per il suo onore e per la sua donna, ma riesce a rimediare solo un potente pugno in faccia. Un pugno in faccia che coarta le vite dei nostri tre protagonisti, che da quel momento attraversano un percorso catartico alla fine del quale non saranno più gli stessi.
Yoshiharu [interpretato dallo stesso Tsukamoto] ferito nell’orgoglio e nell’onore si allena freneticamente nel tentativo di battere Kojima nel suo stesso sport, la boxe. Hizuri, intanto cambia radicalmente stile di vita e carattere. Da dolce e remissiva diventa ossessionata da dolore, dal sangue, dedica la sua vita ai piercing e ai tatuaggi, con mistico ascetismo. La debole donna diventa forte, brutale, fisicamente pronta a tutto condurrà le redini di un combattimento, mentre vive alla ricerca spasmodica del dolore. Unico elemento ormai in grado di emozionarla.
Il corpo diventa messaggero e strumento attraverso il quale l’anima ferita urla, mezzo grazie al quale poter rigettare l’odio che si prova, l’indifferenze, la rabbia. Il regista non è certo primo a questi exploit. I lettori che hanno seguito Shinya Tsukamoto nei suoi Tetsuo, non si stupiranno di fronte a questo Tokyo Fist. Un horror atipico che, con le sue belle scene splatter, la stupenda soundtrack di Chu Ishikawa e l’ottima prova recitativa degli attori, regala agli spettatori la giusta tensione che regge fino alla fine del film. Un bel film, e non ci si aspettava meno da Tsukamoto che lascia la sua firma attraverso tutte le sue tipicità che lo rendono riconoscibilissimo. Elemento sempre presente, sempre vivo è dato dalla città di Tokyo metodica, disciplinata, abitata da uomini e donne regolate da ritmi precisi, modulati dal grigiore.
Ma ciò che spicca nelle pellicole di Tsukamoto e ancor più in questa sono i suoi protagonisti che attraversano una metamorfosi, un violento cambiamento scaturito da violenza. Non sta a noi giudicare se tale metamorfosi inclini al bene o verso il male. Tsukamoto, ci lascia lì spettatori di come un uomo e la sua vita possano cambiare, se si pestano i tasti più sensibili della natura umana. Stupendi i toni di questa pellicola, i combattimenti violentissimi, quasi inebrianti, a tratti liberatori. Liberatorio il combattimento finale che lascia respirare il protagonista e anche lo spettatore.
Più volte nel corso del film i protagonisti si chiedono cosa stesse loro succedendo e apparentemente non riescono a darsi risposta. Un percorso catartico di cui sono bene evidenti i risultati.
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