I confini tra giusto e sbagliato, si confondono, si intrecciano, si fondono, oscillando tra un piano puramente horror e il suo sottotesto profondamente drammatico.
Un sadico e feroce serial killer si aggira indisturbato per il paese, violentando e massacrando giovani donne, fino a quando le parti non si invertono bruscamente ed è proprio il carnefice a diventare la preda: l’aguzzino, infatti, commette il passo falso di scegliere come vittima la fidanzata dell’agente segreto Kim Soo-Hyeon (Byung-hun Lee, G.I. Joe – La nascita dei Cobra). Un uomo distrutto dal dolore per la perdita dell’amata e finemente addestrato in campo militare (a livelli in grado di far impallidire anche al Sylvester Stallone di Rambo) può costituire un pericolo mortale anche per il più spietato degli assassini.
La trama si snoda in una lenta, macabra, voyeuristica e sottilmente piacevole persecuzione del maligno, da parte di quello che dovrebbe essere il bene. La domanda, però, si impone: è veramente il bene? Probabilmente no, perché i confini tra giusto e sbagliato, in I Saw The Devil, si confondono, si intrecciano, si fondono, giostrati con una maestria rara, in grado di mantenere l’empatia dello spettatore sempre e comunque saldamente ancorata al vendicatore, e di non concedere all’originario aguzzino il benché minimo beneficio della pietà. Non c’è noia nemmeno per una frazione di secondo, sebbene la durata del film abbracci un arco di tempo non indifferente. La regia di Jee-woon Kim consegna un prodotto tipico della cucina cinematografica Sud Coreana, con un retrogusto pulp che spazia dal tarantiniano fino quasi a toccare le più lontane ricette letterarie di Pahlaniuk, con un sottotesto di grande intensità sentimentale e morale, quasi poetica.
Non c’è il piacere morboso della vendetta negli occhi di Kim Soo-Hyeon, c’è la disperata freddezza meccanica (la stessa che in salsa americana abbiamo visto tanti anni fa in L’Ultima Casa a Sinistra) di un operatore militare che ristabilisce la parità della sofferenza, occhio per occhio. Del resto Jee-woon Kim non è proprio l’ultimo arrivato: ha confezionato Two Sisters e sceneggiato The Uninvited, comunque perline che non lasciano mai l’amaro in bocca, dimostrando di avere più che le carte in regola per spingere in alto il cinema di settore della sua nazione di origine. Un encomio meritatissimo, inoltre, va regalato alle scene puramente orrorifiche, che non deludono nella maniera più assoluta e, oltre a sfoggiare un eccellente valore artistico, sono permeate di un’aura di solennità che fa annusare fino in fondo il profumo dell’Oriente (che si sa, comunque di mazzate se ne intende). E’ una pellicola da gustare solo per l’adrenalina che infonde nelle voraci papille degli appassionati, o da sviscerare con più attenzione per sentirne il risvolto drammatico e profondo: a piacimento. Insomma, da vedere, da vedere, e anche da rivedere.
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