Altro passo falso della miniserie TV “6 passi nel giallo”.
Angela Wyler, una giovane e avvenente ragazza, chiede al commissario Valerio Strada di ritrovare Christine, la sua gemella, con la quale, a seguito di un brutto litigio ha interrotto i rapporti. Malgrado avesse avuto una storia con Christine, conclusasi anni prima in maniera drammatica, Valerio accetta l’incarico. Mentre le ricerche del commissario non portano a niente, un guardiano notturno viene brutalmente ucciso nel cantiere navale in cui lavorava. Ad essere incaricato del caso è lo stesso Valerio, che non tarda a scoprire un eventuale coinvolgimento di Christine, in quello che sarà solo il primo omicidio di una lunga serie.
Eccola l’apocalisse dei generi, l’horror che violenta il thriller per tingersi dei colori accomodanti della tv da prime time di Canale 5. E’ successo con l’American psycho di Mary Harron e ci era andata ancora bene: abbiamo perso Di Caprio per Christian Bale pre Nolan, pre faccia da schiaffi, pre Batman, bravo, bene, bis, ottimo Patrick Bateman, certo le vagine negli armadietti o i corpi da Ikea sezionati non hanno trovato lo stesso sfogo radical splatter, ma c’erano idee da vendere anche dietro la patina da blockbuster finto trasgressivo per anemici dell’horror. Ed era l’America, la Terra dello zio Sam, ma anche della tv che è più cinema del cinema, in Italia non poteva andare molto meglio.
No, per noi la fiction televisiva non è altro che il riverbero di un riverbero di un riverbero, un cinema al quale non crede nessuno, cerca di scimmiottare i grandi generi del passato, ma senza metterci impegno, un po’ come versare in un bicchierone un goccio di whisky e annacquarlo con tre litri d’acqua per sentirsi grandi. Sei passi nel giallo è cominciato male, diciamocelo pure senza paura del Padre Eterno che innondi la nostra casa o ci faccia trovare pasta e cavallette per cena: Lamberto Bava ha combinato un disastro (ma ha altre due occasioni che speriamo non sprechi), Edoardo Margheriti se l’è cavata meglio ma con un colpo su due alla botte, Roy Bava (quindi John Old jr jr?) il nulla più totale, l’Armageddon più sconfortante soprattutto quando sulla carta era forse il cavallo vincente. E come poteva essere diversamente? Con il peso dietro le spalle di un nonno maestro del terrore, di un padre regista di un Demoni che per il nostro cinema di genere è stato quasi Kubrick, come ci si poteva aspettare un risultato così disarmante nella sua imbellità?
Gemelle è non solo un finto e moscissimo clone del Brian De Palma pre capolavori, ma è anche un giallaccio che non ha idea di come si costruisca il climax nel creare un thriller con imperdonabili tempi morti e l’uso di una pistola al posto del coltello. Niente suspense quindi e omicidi veloci, il contrario dei miticizzati delitti inscenati da Argento e dai suoi compagni di sangue, i Sergio Martino, i Giuliano Carnimeo, gli Umberto Lenzi che avrebbero avuto bisogno di una lettura meno superficiale da parte dell’esordiente regista. In più il solito doppiaggio (o non doppiaggio), marchio di “qualità” della serie, è qui ai massimi livelli di eccelsa corbelleria, non aiutato da attori che vivono una dimensione di non recitazione, il Roberto Zibetti bambino cattivo di Nonhosonno che sfoggia il suo armamentario di terribile dizione e facce deliranti, il Marco Leonardi de La sindrome di Stendhal in versione viso di pietra qualunque cosa succeda e poi loro, Daniele Pecci e Erica Durance, belli ed anonimi, a completare il disastro. Tra questo miscasting poi due volti importanti per il nostro cinema di genere, il Tomas Arana di La chiesa e la Veronica Lazar di Inferno, sprecatissimi e fuori parte, come scritturare Al Pacino per interpretare un vaso Ming. Non c’è idea di tensione solo noia, lunghissima noia che porta ad un finale schizzato e schizofrenico che vorrebbe essere Hitchcock e naturalmente non lo è. Che Roy Bava mediti prima di buttarsi sulla sua opera seconda, un errore lo si può perdonare, ma due, soprattutto all’inizio di carriera, sono un lasciapassare certo per l’oblio. Peccato.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.