Il Natale si tinge di rosso (anzi, di nero) in questa bellissima pellicola firmata da Bob Clark: un cult che è tra i precursori dello slasher, ma in modo originale ed unico nel suo genere.
Questa bella pellicola di Bob Clark, di cui ricordiamo l ‘inquietante “La Morte Dietro La Porta”, anch’esso targato 1974, è da considerarsi a tutti gli effetti non solo uno dei prototipi dello slasher così come lo conosciamo ma anche il precursore di molti film successivi: impossibile, infatti, non pensare all “Halloween” di Carpenter (1980) ma soprattutto a Dario Argento, nelle soluzioni visive, in alcuni passaggi narrativi, nell’uso dei suoni e delle voci e in intere sequenze che sembrano prese di peso dai primi film del regista romano.
Vista la coincidenza cronologica delle opere, è difficile dire chi abbia copiato chi, anche se in “Profondo Rosso”, realizzato nell’ anno successivo, c’è davvero molto di questo Black Christmas (e qualche traccia la si nota anche in “Suspiria”, 1977). D’altro canto, lo stile di Argento era già riconoscibile a partire dalla sua prima pellicola, “L’Uccello dalle Piume di Cristallo”, datata 1970, dunque ci si trova davanti al classico dilemma se sia nato prima l’ uovo o la gallina. E’ curioso comunque notare che il personaggio dell’ assassino/ombra sia stato interpretato, in alternanza con un altro attore, dallo stesso Clark, ed entrambi abbiano anche prestato le loro voci per i monologhi telefonici, dunque un’altra, seppur minore, similitudine con le opere di Argento.
Con Carpenter si va su lidi più sicuri, visto che si parla del 1980 e nel film di Clark abbiamo un killer in perenne soggettiva, accompagnata da un pesante respiro; inoltre, alcune idee a livello di messa in scena e narrazione sarnno presenti nel capolavoro del regista statunitense. L’ intero filone slasher è, come si diceva, fortemente debitore verso quest’opera, per quanto essa si differenzi notevolmente, a livello di profondità narrativa e caratterizzazione dei personaggi, dalla maggioranza delle successive produzioni “bodycount” ; la casa delle studentesse, la classica “sorority” americana, per intenderci, l’ uccidere senza movente ed in maniera seriale, la modalità brutale degli omicidi, le allusioni sessuali, e la già citata soggettiva dell’ assassino sono tutte caratteristiche presenti in Black Christmas, mescolate alla già citate soluzioni tipicamente argentiane ma soprattutto a una propria originalità.
Prototipo, modello, forse ispirato da un certo cinema ma di certo non copia o clone, il film resta un capitolo a sé stante nell’horror della prima metà degli anni ’70, nel suo puntare più sulle atmosfere, sulle suggestioni, sull’uso del suono e sulla minaccia invisibile e incombente piuttosto che sul mostrare tout-court oppure sul gore, a dispetto del brutto titolo italiano, “Un Natale Rosso Sangue”. Di plasma, infatti, ne vediamo ben poco ma è proprio ciò che viene lasciato fuori dal nostro sguardo ad inquietarci, a instillare una tensione persistente, che non ci abbandona nemmeno a film terminato.
La storia si svolge durante la notte di Natale, in una casa studentesca per ragazze, sotto la bonaria sorveglianza dell’ eccentrica Mrs Mac (Marian Waldman), personaggio interessante, estroverso e malinconico al tempo stesso, che annega la sua sostanziale solitudine in furtive sorsate di cherry. Fin dall’inizio del fim, tramite la soggettiva e il respiro, si manifesta la presenza/assenza del maniaco, che fisicamente si muove in quei luoghi ma che non è quasi mai mostrato in terza persona, se non in pochissimi momenti della narrazione. Dunque, più vicino ad un’entità che ad un essere in carne ed ossa, lontano anni luce dalla massiccia fisicità di un Jason o di un Michael Myers.
Egli è fortemente presente con la voce, anzi, le molteplici e schizofreniche voci con le quali perseguita telefonicamente le ragazze, passando dagli insulti ai deliri, dal tono gutturale al falsetto, in monologhi genuinamente disturbanti ed efficaci. La minaccia viene in un primo momento sottovalutata e presa come uno scherzo, soprattutto da Barb (l’ottima Margot Kidder, che ritroveremo protagonista di Amityville Horror e, molti anni più tardi, in un ruolo secondario in “Halloween II” di Rob Zombie), personaggio disinibito, sfrontato, trasgressivo, il cui omicidio nel film rappresenta forse la sequenza in assoluto più vicina al cinema di Argento: l’inquadratura dell’ occhio dell ‘assassino in penombra, il montaggio che alterna la scena di morte a quella di un coro natalizio di bambini, i movimenti di macchina e soprattutto gli animaletti di cristallo in primissimo piano, sui quali schizza il sangue della vittima. Tutto ciò rimanda in modo assai evidente a quelle soluzioni visive che sono ormai diventate un marchio di fabbrica.
Ogni ragazza è un mondo a sé e lo studio sui personaggi è compiuto in modo accurato e non superficiale: l’indipendente e riflessiva Jess (una giovanissima Olivia Hussey) si ritroverà a diventare protagonista nel corso del racconto, coraggiosa e un po’ incosciente eroina che apre la strada non solo alle successive Nancy Thompson e Laurie Strode ma anche alle virginali icone argentiane quali Jennifer Connelly e Jessica Harper. Restando in tema di rimandi, impossibile non notare la presenza di John Saxon, il padre di Nancy in “Nightmare”, anche qui nel ruolo del tutore dell’ ordine.
La pellicola si chiude in modo meno prevedibile e scontato di quanto possa apparire a primo acchito, con una sorta di “doppio finale”, ambiguo ed aperto.
La messa in scena è pervasa da una tensione costante, suspense allo stato puro, e da una vena di humor nero non demenziale che la rende ancora più unica nel suo genere; alcune sequenze sono sinceramente memorabili (il già citato omicidio di Barb ma anche la scena finale), e il killer come minaccia apparentemente impalpabile ma proprio per questo ancor più pericolosa, è trovata geniale e resa in modo assolutamente efficace. L’uso del suono è fondamentale, anche nel disturbante score ad opera di Shirley Walker, e la fotografia cupa dona un grosso contributo all’ atmosfera tetra del narrato. Il plot presenta tuttavia alcune incoerenze, con qualche caduta e sfilacciamenti della trama che rendono la narrazione a tratti poco convincente.
Nonostante questo, Black Christmas rimane un gioiello del genere orrorifico, storpiato da un inutile remake del 2006, che si spera abbia almeno contribuito a far ricordare il film originale, quel “Nero Natale” diventato “Rosso” per il pubblico italiano ma che proprio nel funereo non-colore trova la propria anima pulsante.
About Chiara Pani
Conosciuta anche come Araknex, tesse inesorabile la sua tela, nutrendosi maniacalmente di horror,musica goth e industrial e saggi di criminologia. Odia la luce del sole e si mormora che possa neutralizzarla, ma l’ interessata smentisce, forse per non rendere noto il suo unico punto debole. L’ horror è per lei territorio ideale, culla nella quale si rifugia, in fuga da un orripilante mondo reale. Degna rappresentante della specie Vedova Nera, è però fervente animalista, unico tratto che la rende (quasi) umana. Avvicinatevi a vostro rischio.