Presentato in anteprima durante la 29 ° edizione del Torino Film Festival, l’ultima fatica cinematografica di Jaume Balagueró è un thriller con venature di morboso melò che non convince appieno ma che ci regala una splendida prova d’attore.
“Il mio unico sollievo è sapere che neanche gli altri sono felici”.
In questa frase pronunciata da César (un magnifico Luis Tosar), protagonista del film, si condensa il cuore pulsante dell’ ultima fatica del regista spagnolo Jaume Balagueró , al quale va il merito di aver ormai acquistato un cifra stilistica personale, dunque riconoscibile, sebbene non completamente originale nel panorama orrorifico della sua terra. Presentato in anteprima alla 29 ° edizione del Torino Film Festival.
Vi invitiamo a leggere anche l’intervista al regista a proposito del nuovo film.
Balagueró ha al suo attivo una serie di titoli di successo, fra cui il non eccelso “Nameless” (1999), che l’ ha reso noto al grande pubblico, il discreto “Darkness” (2002) e, stilisticamente diversi dalle sue precedenti produzioni, il famosissimo “Rec” (2007) e relativo sequel di due anni dopo. Si ricorda con piacere la sua partecipazione alla serie horror “Películas Para No Dormir” (2006), una sorta di risposta spagnola ai Masters Of Horror: il suo “Para Entrar A Vivir”, storia di una folle affittuaria (dunque simile, per tematica, a questo Mientras Duermes), si era distinto come uno degli episodi più riusciti in un’ operazione di livello medio.
Il suo cinema può piacere o non piacere, essendo appunto legato quasi sempre da un fil rouge che lo caratterizza. Questo suo ultimo film, lascia francamente perplessi: ci si trova davanti ad un prodotto medio, un thriller con punte di melò morboso, forte di alcune ottime idee ma anche vittima di vistose cadute.
César è il custode di un condominio, claustrofobico microcosmo nel quale ha luogo l’ intera narrazione, cronologicamente sfalsata al fine di creare un senso di smarrimento nello spettatore; César è apparentemente gentile, punto di riferimento per coloro che vivono nel palazzo: le vite degli altri scorrono davanti a lui, giorno dopo giorno. Il personaggio prende forma lentamente, e la sua follia strisciante, subdola, sadica, ci viene mostrata in modo sempre più evidente, scena dopo scena: l’ uomo nutre una malsana passione per Clara (la brava Marta Etura), condomina che lo tratta in modo amichevole. Apparentemente, un interesse innocuo: in realtà, un’ ossessione morbosa, violenta, della quale egli parla apertamente solo alla propria madre, moribonda in ospedale, che piange nel sentire le sue parole colme di rabbia e follia senza poter essere in grado di rispondere.
César è persecutorio, ossessiona Clara con lettere e messaggi anonimi, minacciosi e morbosi; si introduce nel suo appartamento durante la notte (“mientras duermes”, appunto), narcotizzandola e dormendo accanto a lei; la sua follia ci viene mostrata in crescendo, con atti sempre più subdolamente crudeli, diretti non solo alla donna ma anche agli altri condomini. Egli è profondamente solo e triste nella sua pazzia: nonostante questo, non suscita empatia nello spettatore, poiché il suo odio è sadico e trova sfogo anche sui deboli, su coloro che non sospettano minimamente quale sia la sua vera natura e si fidano di lui.
Il plot contiene trovate efficaci (le scene che vedono César delirare davanti alla madre morente sono momenti di pura follia, così come gli atti che compie di nascosto negli appartamenti altrui) e Tosar divora la schermo, regalandoci un’ interpretazione memorabile, che da sola vale l’ intero film. Un sottile ma persistente senso di tristezza pervade la narrazione, nel ritratto di una solitudine che è al tempo stesso causa e conseguenza di una follia mascherata, nascosta, tenuta sotto chiave per poi esplodere senza più alcun freno. L’ infelicità di César trova conforto nell ‘osservare e soprattutto nel causare quella altrui, come possiamo sentire dalle sue stesse parole: la sua aspirazione è di distruggere la felicità di coloro che gli stanno attorno, per renderli, in un certo qual modo, simili a lui.
La regia è abile, la visione è graziata dalla bella fotografia fredda e cupa firmata da Pablo Rosso, abituale collaboratore di Balagueró; dunque,il timbro visivo è quello tipico della maggioranza delle sue pellicole, e qui rende assai bene lo spirito della storia. Lo score è lieve, sottilmente inquietante e perfettamente funzionale alla narrazione. Riguardo alla messa in scena, possiamo riconoscere qualche traccia del cinema di Almodóvar, nella caratterizzazione di alcuni personaggi e nelle punte melodrammatiche che caratterizzano il plot.
Non tutto però funziona come dovrebbe: la pellicola ha un ritmo lento, troppo per essere un thriller, risultando a tratti noiosa; la sceneggiatura non è esente da pecche e non brilla per originalità, poiché tematiche simili si sono già viste in film come “Sliver” (1993) e la recente produzione Hammer “The Resident” (2011), seppur con le dovute variazioni. Il registro narrativo è in bilico tra l’ umorismo ed il dramma, con esiti spesso incerti e non del tutto riusciti. Si bada molto alla forma, con una confezione elegante e patinata, che però non è sufficiente a mascherare i difetti del film, soprattutto a livello di script, firmato da Alberto Marini: un cambiamento evidente e non del tutto felice per un regista che ha quasi sempre sceneggiato i propri lavori. Il film, comunque, trova riscatto in un finale non del tutto prevedibile e ad effetto, che ha il dono di risollevare l’ impianto narrativo.
Un lavoro dunque solo parzialmente riuscito, che mostra i suoi maggiori pregi in una grande prova d’ attore e in alcuni ottimi momenti, ma che ha il grande difetto di risultare potenzialmente noioso ed a tratti ripetitivo, caratteristiche che in un thriller, seppur atipico come in questo caso, sono note troppo stonate in un film che avrebbe avuto le carte in regola per poter essere considerato al di sopra della media.
About Chiara Pani
Conosciuta anche come Araknex, tesse inesorabile la sua tela, nutrendosi maniacalmente di horror,musica goth e industrial e saggi di criminologia. Odia la luce del sole e si mormora che possa neutralizzarla, ma l’ interessata smentisce, forse per non rendere noto il suo unico punto debole. L’ horror è per lei territorio ideale, culla nella quale si rifugia, in fuga da un orripilante mondo reale. Degna rappresentante della specie Vedova Nera, è però fervente animalista, unico tratto che la rende (quasi) umana. Avvicinatevi a vostro rischio.