Nell’Inghilterra vittoriana dei circhi, delle fiere e degli spettacoli itineranti, le vite di due artisti di strada, Corney Sage e Lucy Strong, s’incrociano sotto la cattiva stella di un misterioso ed efferato delitto di cui diventano involontari testimoni: la loro fuga disperata non sarà sufficiente a tenerli lontani dai tentacoli del male.
Questa, in poche parole, la trama de “Il circo maledetto”, dell’esordiente Ann Featherstone – docente inglese di Storia del Teatro e quindi quanto meno sufficientemente capace di restituire con una certa vitalità e precisione lo spaccato sociale in cui il romanzo è ambientato.
Al di là delle veridicità storica dello sfondo, purtroppo, il libro rimane gradevole, per carità, ma manca di un certo spessore e si dipana in modo a tratti confuso e poco mirato. Dopo un esordio promettente, infatti, “Il circo maledetto” si rivela più che altro un blando thriller psicologico, con scarse tinte forti e in cui l’assassino diventa noto (o quanto meno assai intuibile) quasi subito, togliendoci quindi anche il piacere di scoprirne l’identità attraverso gli indizi. Nel complesso la trama prosegue cercando di tratteggiare la psicologia della mente criminale, nonché le vite dei due testimoni, costretti a fuggire per tutta l’Inghilterra vivendo di espedienti, ma incapaci di evitare che infine l’assassino incroci nuovamente il loro cammino.
La narrazione alterna la voce di più personaggi con modalità autobiografica, nel tentativo di mantenere intatto un certo alone di mistero offrendo più punti di vista. Il risultato purtroppo è solo quello di confondere un po’ l’intento del romanzo, che oscilla così tra una poca riuscita avventura picaresca dietro le quinte dello spettacolo popolare di allora, un’analisi sulla psiche distorta e sulle sue ragioni, una spruzzata di dettagli freak, e un finale degno delle migliori eroiche avventure, in cui il cattivo deve platealmente soccombere, con il cerchio della vendetta che si chiude in modo un po’ troppo artefatto.
Giocando con le atmosfere della finzione e del teatro come mezzi artistici, la Featherstone abbandona quasi subito l’intento inquietante e gore, per abbracciare invece l’idea dell’inganno e del travestimento come “compagno” del crimine (e come metafora della pazzia), ma resta troppo vaga per risultare convincente sia in un senso che nell’altro. Smaschera quindi subito i suoi meccanismi, rendendo la lettura scorrevole ma prevedibile.
La stessa psicologia dell’assassino manca di reale convincimento e risulta approssimativa: c’è il tentativo di costruire un dramma umano che contiene pur tuttavia numerosi buchi – esattamente come le due vittime mancano spesso di credibilità, a favore di un atteggiamento farsesco e macchiettistico.
Come “lettura di spiaggia”, senza pretese, questo romanzo indubbiamente può funzionare, soprattutto per la scarsa richiesta di concentrazione richiesta. Un lettore un po’ più attento, invece, si lascerà facilmente turbare da una sottile sensazione di incompletezza, come di delusione, che nasce in primis dalla mancanza di dettagli veramente forti e inquietanti. Anche la parentesi freak, che poteva costituire un ulteriore elemento di fastidio e contribuire a connotare la storia in modo più incisivo, è tutto sommato trattata con superficialità e con un velo di buonismo.
Peccato, perché le basi erano buone per costruire un’atmosfera alla Jack The Ripper, grazie anche a un’ambientazione storica di indubbio fascino. L’autrice c’è purtroppo andata di mano leggera, quasi dovesse contenersi nelle pagine o negli argomenti: a dato così varie pennellate casuali, nessuna delle quali fa il quadro veramente degno d’essere osservato.
“La luce della luna andava e veniva nel cielo nuvoloso mentre attraversavamo in punta di piedi il cortile, ma non era completamente buio.
Certo in città non è mai buio, come non c’è mai silenzio. C’è sempre una finestra accesa o una lampada che brucia, c’è sempre qualcuno che grida o strilla. Come in questa notte, in cui il cortile era rischiarato sebbene vi fossero ampie chiazze di oscurità, densa come sangue, e rumori che ci passavano accanto come il suono di stivali che strusciavano sul selciato.”
(Ann Featherstone – Il circo maledetto)
About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.
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