La Francia sta subendo i colpi di una rivoluzione popolare che ruota intorno al verdetto delle elezioni politiche, in questo clima un gruppo di ragazzi è in fuga da una pattuglia della polizia.
Uno di loro viene ferito, così la sorella (Yasmine) e l’ex-ragazzo decidono di portarlo in ospedale dividendosi dal resto del gruppo, dandosi appuntamento al confine con il Belgio. La locanda dove due dei ragazzi trovano rifugio si rivela un mattatoio gestito da una famiglia di psicopatici, la cui mente deviata partorirà una sequela di inenarrabili torture.
Frontiers è un film che può essere analizzato su due diversi piani: può essere visto come una sorta di tributo a diversi classici con qualche spunto originale oppure come mero plagio di altri film usciti oltre trent’anni fa. Dipende come ci si approccia al film, se con cipiglio critico o con la voglia di godersi un film dell’orrore. Personalmente mi sono avvicinato al film di Xavier Gens con quest’ultimo mood e, devo ammettere, di essere uscito dalla proiezione più che soddisfatto. E’ inutile prendersi in giro: Frontiers sfrutta una strada già ampiamente battuta da “Non aprite quella porta” di Tobe Hooper, oppure “Le colline hanno gli occhi”, ma anche “American Gothic” di John Hough e “Delicatessen” di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro, che poi lo si voglia vedere come puro citazionismo o mera scopiazzatura sta allo spettatore.
Sicuramente la pellicola riesce a donare nuovamente luce alla scena francese ormai ricca di giovani autori che vogliono (e sanno) esprimersi nel panorama horror, basti pensare ad Alexander Aja (“Alta Tensione”, “Riflessi di paura”, “Le colline hanno gli occhi – remake”) oppure “A l’interieur” di Alexandre Bustillo. La carica adrenalinica non manca, grazie anche ad un montaggio sapiente a cura di Carlo Rizzo, che ci introduce nei gironi infernali ispirati a “Salò e le 120 giornate di Sodoma) di PierPaolo Pasolini, come ammesso anche dallo stesso regista nell’intervista che potete leggere tra queste pagine. Il film infatti si nutre della violenza insita nel sistema politico francese (in questo caso le elezioni di Sarkozy) e la rigetta fuori seguendo tre ondate: la prima che scaglia uno sguardo alla aggressività urbana proseguendo rapida ed inesorabile, la seconda che illumina l’ingresso nell’antro della belva con la morbosità che si insinua lentamente, la terza che vede in una deflagrazione di brutalità il culmine di una epifania di sangue. Il tutto viene impresso sulla pellicola grazie alla strepitosa fotografia di Laurent Barès.
La violenza esplicita è uno dei punti di forza di Frontiers, le torture perpetrate sono mostrate senza cambi di scena o di inquadratura, il sangue scorre a fiotti e determinate situazioni rimandano a “Hostel” di Eli Roth senza cadere nella pacchianeria di quest’ultimo. Gli amanti del gore non resteranno delusi.
L’ottima prova degli attori dona credibilità al plot, specialmente grazie alla sensazionale caratterizzazione della protagonista Karina Testa: raramente è possibile vedere sugli schermi una tale discesa nel personaggio, con tutte le emozioni (il dolore e la rabbia in primis) che traspaiono vivide dallo schermo. Da menzionare anche la conturbante Daryl Hannah, sensuale, selvaggia e a tratti parodistica, non può che far venire in mente la concezione dei caratteristi spesso voluta da Rob Zombie (“La casa dei mille corpi”, “La casa del diavolo”, “Halloween – remake”).
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