Nel quarto capitolo della serie horror natalizia Silent Night, Deadly Night c’è davvero poco di natalizio e ci si discacca totalmente dal filone narrativo degli altri sequel
Il quarto sequel della saga Silent Night, Deadly Night rompe con la tradizione dei precedenti capitoli e mette in scena una storia completamente diversa. Non c’è nessun assassino vestito da babbo natale e, anzi, c’è veramente poco che abbia a che fare con il Natale. Brian Yuzna, che ha sfornato gioiellini come Society (appena un anno prima di Silent Night, Deadly Night Initiation) e che sarà destinato a regalarci tante altre pellicole di culto negli anni a venire (per esempio The Dentist o )cura la regia di questa pellicola.
Kim (Neith Hunter, Ammazzavampiri 2) è una giovane reporter in carriera decisa a sfondare e lo spunto per il suo lavoro lo rintraccia in una curiosa e macabra vicenda avvenuta nella sua città: qualche sera prima una donna è precipitata dal tetto di un palazzo dopo aver apparentemente preso spontaneamente fuoco. L’autocombustione spontanea e l’apparente suicidio della donna attirano totalmente l’attenzione della determinata Kim, che inizia a indagare sull’accaduto e a raccogliere informazioni nei dintorni del luogo dove si è consumata la tragedia. Sfortunatamente, durante le sue indagini, le capita di imbattersi in un’affascinante quanto inquietante donna che dietro la maschera di gentile e disponibile padrona di una graziosa libreria, nasconde una vera identità da seguace dell’occulto e membro di punta di una setta di streghe. Kim diventerà allora la protagonista designata per la realizzazione di un macabro rito sacrificale che la malvagia setta prevede di consumare nel periodo natalizio.
L’ammiccamento sessuale e le scene splatter sono stati mantenuti, in questo sequel, come intatta e sacra eredità degli altri film della serie. La pellicola si rivela da subito deliziosamente figlia del suo periodo (è targata 1990) e nonostante la disconnessione narrativa dagli altri episodi non delude per niente. Fa leva su fobie ampiamente diffuse, come quella che riguarda insetti e scarafaggi, e i momenti di terrore e disgusto (Gli effetti visivi sono curati da David McCutchen) sanno il fatto loro: la scena in cui vengono spremute le budella gelatinose di un insetto gigantesco sulla faccia della terrorizzata protagonista Kim è memorabile e davvero ben fatta. Si tratta di un film che coniuga le sensazioni primordiali delle paure ataviche come il fuoco o le più comuni fobie, con un sostrato onirico e psichico che confonde e sbilancia la linea di demarcazione da realtà e sogno. La vicenda di persecuzione e soggiogamento psicologico della protagonista non può non ricordare il capolavoro di fine anni sessanta (con tutto il rispetto decisamente più indimenticabile di Initiation) Rosemary’s baby, dove era l’angelica Mia Farrow a essere la vittima prescelta di una setta. A conti fatti è un film gradevole e intrigante, però la pecca di non aver spinto di più sull’argomento natalizio rappresenta un notevole punto a sfavore, perché toglie la possibilità al film di uscire dall’anonimato con un espediente che lo avrebbe anche collegato meglio agli altri capitoli. Consigliato a chi teme ma soffre anche di un’insana attrazione nei confronti degli insetti. O delle streghe!
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