L’autore decide di mostrare un Kuntilanak che altro non è che una copia sbiadita dei fantasmi di ragazzine dai capelli lunghi made in Japan.
The Chanting è il titolo internazionale della pellicola, scritta e diretta da Rizal Mantovani, il cui titolo originale è Kuntilanak. Il kuntilanak è un mostro mitologico indonesiano da cui il regista parte per raccontare la sua storia.
Il film racconta di Samantha, giovane studentessa universitaria, che rimasta orfana di madre, decide di trasferirsi per allontanarsi dalle molestie del patrigno. I pochi soldi in suo possesso la porteranno ad affittare una stanza in una pensione situata accanto ad un cimitero al cui centro svetta uno spettrale albero, dimora di un Kuntilanak. Demone indonesiano che è possibile evocare attraverso un particolare canto.Rizal si dimostra, nella prima parte del film, un buon regista, con un ottimo occhio filmico e che sa come muoversi e muovere la macchina da presa. Ad aiutarlo ulteriormente è la caratterizzazione del Kuntilanak, le cui peculiarità sono sicuramente note in Indonesia, ma totalmente sconosciuto da noi. Le caratteristiche della creatura rendono molto interessante, infatti, l’attesa della sua entrata in scena: la sua risata che suona sempre più lontana man mano che esso si avvicina, il suo usare gli oggetti come porta per entrare nella nostra dimensione, ma in particolare l’essere evocato da chi ne possiede la facoltà, attraverso una canzone.
Un dono/maledizione per Samantha, che la porta a far marcire la propria anima (un aspetto ben evidenziato dal regista nelle sequenze che vedono la ragazza vomitare vermi ogni volta che evoca il Kuntilanak). Purtroppo il film perde la sua forza con l’arrivo dei primi delitti. Mantovani dimostra di essere un regista che lavora ai confini del grande impero della filmografia asiatica. Ignorando parte del fascino della leggende locali l’autore decide di mostrare un Kuntilanak che altro non è che una copia sbiadita dei fantasmi di ragazzine dai capelli lunghi made in Japan. Ma se nell’aspetto il Kuntilanak non è niente di nuovo (anche se l’aggiunta di due piedi caprini aumentano il senso di alienazione verso quest’essere) e nelle azioni che da il peggio di sé.
Ogni delitto si svolge alla stessa maniera: dopo un primo momento di falsi indizi di morte, che sembrano richiamare le elaborate “trappole per topi” di Final Destination, gli omicidi si risolvono nei modi più banali. A peggiorare le cose è la trama. Dopo un inizio semplice, ma solido, s’incarta nel cercare d’inserire una setta satanica di adoratori del Kuntilanak, che poco c’entrano con la trama principale. Nonostante questi difetti il film è stato un buon successo, generando diversi seguiti.
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