Non ci credo.
Non ci credo che il buon Stephen King, come recita la quarta di copertina, sia stato sveglio un’intera notte a leggerlo. Se l’ha fatto, evidentemente il maestro del Maine soffre di insonnia.
Perché l’ultima fatica letteraria di Peter Straub non è un libro che si legge in una notte.
Non siamo a livello dell’ “Ulisse” di Joyce, per carità, ma non siamo neppure difronte a un libro alla Lansdale, dove i paragrafi scorrono lisci come acqua di sorgiva, e dove la storia si dipana lineare e definita.
Il romanzo di “formazione” di Straub (non nuovo al genere, basti pensare al “Drago del Male”, la cui trama riecheggia in uno dei capolavori di King, “IT”) ha una prosa barocca, complessa, con paragrafi molto spesso lunghi e contorti. In alcuni punti si ha persino la sensazione di affrontare un “flusso di coscienza”, che richiede attenzione e concentrazione per dipanarne l’imbrogliata matassa.
Questo l’incipt: “Le grandi rivelazioni della mia vita adulta ebbero inizio con le grida di un’anima in pena nel posticino vicino a casa dove andavo a fare colazione.”
Due righe che tratteggiano già uno scenario, e che forniscono le prime, fondamentali informazioni.
Chi parla è Lee Harwell, scrittore di successo che, a causa delle grida di quell’anima in pena, che richiamano alla sua mente una serie di vivide immagini, si ritrova a ripercorrere gli eventi oscuri avvenuti nel 1966.
In queo giorni, un gruppo di otto giovani uomini e donne si sono ritrovati a seguire un antico rituale, guidati dal loro guru spirituale, Spencer Mallon, uno pseudo santone che sfrutta la propria capacità affabulatoria per procurarsi vitto e sesso.
L’occulta celebrazione avrà effetti devastanti su tutti loro: degli otto partecipanti, solo sei sopravvivono. Uno di loro scompare per sempre, mentre un altro verrà ritrovato morto e orrendamente seviziato.
Lee Harwell, che non ha partecipato a quel rito, nonostante quattro dei seguaci di Mallon fossero i suoi migliori amici (tra cui Lee Truax, la sua futura moglie), decide di ricostruire gli avvenimenti che hanno segnando la vita sua e delle persone a cui voleva bene, scrivendo un libro su quella notte d’orrore.
Attrverso le voci di “Dilly”, Olson, l’affascinante seguace di Mallon che l’ha seguito nelle sue peregrinazioni fino a finire in galera, di “Boat” Boatman, cleptomane dalla vita tormentata, di Meredith Bright, che alla bellezza folgorante unisce una raggelante disumanità, di “Hootie” Bly, il ragazzo innocente che impazzì dopo quella sera, e che riesce a parlare solo citando brani di libri, con una marcata preferenza per “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne, e di “Eel “, Lee Truax, la bella moglie Lee Harwell, diventata gradualmente cieca dopo la celebrazione del rito, Lee cerca di squarciare le tenebre del passato, dovendo, suo malgrado, confrontarsi con il Male evocato tanti anni prima.
L’aspetto metanarrativo del libro è una delle caratteristiche fondamentali: il lettore sa sempre che sta leggendo qualcosa che è stato scritto da un autore che non ha la conoscenza diretta del narrato, e che quindi si sforza di interpretare e di collegare tra loro i ricordi di una molteplicità di soggetti, fungendo quindi da “sarto” editoriale.
La frammentaria conoscenza degli avvenimenti di Lee Harwell diventa quindi l’unico strumento in mano al lettore per cercare di dare un senso all’accaduto, con gli stessi limiti e le stesse suggestioni del personaggio principale del libro.
Se si parte da questo presupposto, l’opera di Straub diventa affascinante: si riesce chiaramente a percepire come la soddisfazione esplicitata da Lee Harwall di non avere partecipato al rito (e quindi di essere riuscito a non esserne direttamente influenzato nella vita) nasconde invece un profondo rimpianto, che lo porta a scavare tra le pieghe della storia per diventarne esso stesso partecipe.
Alcune figure tratteggiate da Straub rifulgono, come Meredith Bright e Hootie Bly, mentre altri sono forse un po’ troppo stereotipati (da quello che Straub dice, la bellezza è il tratto comune di tutti i suoi amici, così come l’intelligenza, e quindi lascia un po’ perplessi che tale gruppo di geni si lasci abbindolare dalla figura dozzinale del furbo predicatore Spencer Mallon).
In alcuni punti, poi, il compiacimento letterario prende il sopravvento, e Straub si dilunga troppo in descrizioni e metafore complesse, che spezzano il ritmo dell’azione e che costringono a ripercorrere a ritroso le pagine per riuscire a rintracciare il bandolo della matassa.
La struttura a “matrioska” del libro, in cui ogni narrazione sembra sempre volere diventare più grande di quella che la contiene, spiazza e lascia, soprattutto nel finale, con un lieve senso di incompiutezza, quasi che l’autore voglia dirci “c’è sempre un limite alla conoscenza indiretta”.
Del resto, questo non è un libro che si legge in una notte.
“La cosa oscura” non può essere semplicemente etichettato come un ‘romanzo horror’. Se Se la vostra aspettativa è quella di partire per un viaggio senza fiato tra le montagne russe della paura rimarrete delusi, da questo libro.
Non è “Ghost story”, non è “Il drago del male”: troppo sono i temi toccati, troppo complessa la struttura, per affrontarla senza una quieta consapevolezza.
Se però siete alla ricerca di un libro che faccia anche pensare, che tratti in modo maturo e raffinato le costruzione delle relazioni tra amici e la loro evoluzione nel tempo, il tutto ammantato da un’aura di mistero e di orrore, allora non perdete tempo e fiondatevi in libreria.
About Giuliano Fiocco
Ha visto nascere Horror.it, e l’ha accudito per lungo tempo assieme ad Andrea. Adesso la vita gli lascia poco tempo per le passioni, ma in un angolo oscuro del cuore rimane in agguato la voglia di scrivere. Ha scritto un romanzo, da cui è stato tratto un film, in fase di produzione.