“Qualcuno aveva disegnato graffiti con una bomboletta sul muro e sulle pareti divisorie dei box.
Ne riconobbi alcuni – l’obbligatorio pentagramma col 666, serpenti, facce demoniache e simboli presi dagli album degli Iron Maiden e dei Blue Oyster Cult –, le classiche stronzate da adoratori del demonio dilettanti delle scuole superiori. Ma c’erano anche altre cose, figure che non avevo mai visto, figure che mi fecero rabbrividire soltanto guardandole. C’era una scritta:
KANDARA REGNA! IA DE MEEBLE UNT PURTURABO! NON ESISTE ALTRO DIO ALL’INFUORI DI OB! KAT SHTARI! LEVIATANO DESTRATO UR BEHEMOTH!”
Prendete un po’ di Lovecraft, un po’ di fantascienza, aggiungete un pizzico di ossessione per la fine del mondo e spruzzate con un filo di survival horror: ecco a grandi linee l’atmosfera che si respira ne “I vermi conquistatori” di Brian Keene. Un manipolo di gente comune, tra cui degli attempati pensionati (di cui uno, Teddy Garnett, è la voce narrante), si trovano all’improvviso a fronteggiare un’ispiegabile apocalisse climatica, nonché il risveglio di creature sotterranee e mitologiche che – strano ma vero – non desiderano la sopravvivenza del genere umano. Si scatenano quindi una serie di avventure serratissime, alternate a riflessioni tra le più varie su vita, morte, aldilà, realtà, mistero… in un’escalation che condurrà ad una inevitabile tragedia.
Originalissima, indubbiamente, l’idea di scomodare i grandi antichi lovecraftiani per dare corpo a una delle paure più ataviche dell’animo umano: quella – appunto – della fine del mondo. Se poi è vero che il mondo finirà probabilmente in un enorme, sconfinato e arido deserto, l’autore ci propina invece un ritorno violento e massiccio delle acque e degli oceani da cui forse la vita è nata, e che qui invece sommergono e distruggono ogni forma di vita conosciuta. Interessante anche il punto di vista di un eroe non proprio giovanissimo e guizzante, ma pur sempre simbolo dell’americano tutto d’un pezzo, teso a difendere il suo territorio e le sue memorie.
La tensione è ben distribuita, e ci sono pause narrative dedicate alla biografia dei personaggi che aiutano a dare credibilità alla storia e ci rendono partecipi del dramma. Il classico romanzo, insomma, che si legge tutto d’un fiato, ricco di citazioni letterarie, bibliche e anche cinematografiche (penso a “Lo squalo“, specialmente nella scena in cui il Leviatano si vendica di uno dei personaggi, “King Kong”, “I pirati dei caraibi“, nonchè all’immagine dei vermi giganti che richiama inevitabilmente “Dune“) e che sicuramente ha sentito anche l’influenza dei vari survival come “Lost” e i suoi predecessori.
E’ forse solo in questo aspetto che la struttura si fa più stereotipata (la dinamica dei gruppi di sopravvissuti in lotta contro il Male è più o meno sempre la stessa) e che il racconto sembra a tratti sconfinare nel già sentito. La presenza di gruppi di Satanisti, che potrebbero con le loro invocazioni aver risvegliato i demoni dalle profondità degli abissi, è purtroppo poco approfondita, e termina nello spazio di poche pagine. I rapporti interpersonali tra i personaggi sono vagamente forzati, complice forse l’ambientazione claustrofobica e l’idea che, causa le incerte condizioni di vita, tutto debba essere consumato in breve tempo.
Resta comunque evidente la passione dell’autore per i temi toccati. Il mondo allontanato violentemente da tutti i suoi aspetti più moderni, ritornato ad essere terreno di caccia, in cui l’uomo è la preda preferenziale, cala il lettore in un clima avvincente ed estraniante allo stesso tempo. Il fatto poi di non trovare una causa razionale a questi accadimenti, ma solo ipotesi, una più folle ed incredibile dell’altra, fa de “I vermi conquistatori” una specie di squarcio alienante in una realtà ordinaria e banale (come quella che spesso viviamo). E’ una parabola, un monito che sottolinea la piccolezza delle nostre risorse, anche le più raffinate, di fronte ai poteri, spesso occulti, di una natura scatenata.
Senza scadere nei finali banali spesso tipici di tante avventure apocalittiche, in cui infine si deve riportare un po’ di speranza e di buon umore, Brian Keene preferisce lasciare il lettore nell’incertezza e nel pessimismo, con solo un sottile spiraglio di luce che pur tuttavia non salva abbastanza di quella vecchia, coriacea umanità che di solito finiva per farla in barba anche ai peggiori mostri. Nel complesso, quindi, una lettura decisamente garbata e ricca di entusiasmo: se non ci si fissa proprio sul dettaglio, se ne esce decisamente soddisfatti.
About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.
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