L’Ossessione della Carne e una metamorfosi autoinflitta nella splendida pellicola della francese Marina De Van.
L’Ossessione della Carne: queste poche parole possono ben presentare questa bellissima pellicola, diretta, scritta e interpretata dall’assai talentuosa Marina De Van, già conosciuta e apprezzata come attrice nonché come co-sceneggiatrice di numerosi lavori del regista francese François Ozon. Un background dunque non-orrorifico, per un film che non è relegato ad un genere ma è bensì il canto disperato di un’irrefrenabile compulsione, un’ossessione senza via d’uscita, una lucida follia.
Esther (magistralmente interpretata dalla De Van,che regge sulle proprie spalle l’intero film), è una trentenne dalla vita apparentemente senza intoppi: una brillante carriera in vista, una relazione felice con Vincent (altra ottima prova di Laurent Lucas, che ricordiamo per il bel “Calvaire”). Una donna dunque, in piena realizzazione. Nel corso di una festa Esther si ferisce accidentalmente ad una gamba e, stranamente, non sente alcun dolore, nonostante la ferita sia profonda e presenti una copiosa perdita di sangue.
Con questo apparentemente insignificante episodio, inizia la discesa agli inferi della donna, inferi mentali e fisici, una metamorfosi del corpo attuata solo ed unicamente da lei stessa: Esther inizia a tagliarsi, scarnificarsi, in modo sempre più compulsivo e feroce. Assaggia le proprie carni, il proprio sangue, conserva morbosamente brandelli della propria pelle. Tutto ciò, in parallelo con l’ordinario decorso della propria vita: l’avanzamento nel lavoro, i progetti di convivenza con Vincent. Le ferite interiori di Esther non sono visibili, ma quelle esteriori lo sono, eccome; il suo compagno non riesce a capire, lei non riesce a spiegare.
Anche il film, non spiega:non sappiamo il motivo di tutto ciò e probabilmente è giusto che sia così; possiamo solo intuirlo. L’auto-flagellazione, la scarnificazione può essere un processo liberatorio da se stessa, dalle gabbie sociali che la opprimono, in maniera sempre più pressante. C’è una forte componente auto-erotica nei suoi gesti: Esther, è follemente estatica nel martoriarsi, si chiude in squallide stanze d’albergo per dare libero sfogo alla sua pulsione, come in un clandestino incontro sessuale.
Bella e da ricordare, fra tutte, la scena della cena di lavoro, con i clienti “importanti” che parlano di banalità e lei che tenta di frenare, ancora una volta, ciò che le si scatena dentro: una scena allucinata e allucinante, visionaria, magnifica, che ci mostra l’abisso tra il dover forzatamente “apparire” e il non poter resistere a ciò che si sta diventando. Lo spettatore non vede troppo, ma intuisce: ciò che vede chiaramente è Esther, la sua follia, i suoi occhi posseduti da un qualcosa che lei per prima non riesce a capire, con la mente spenta, in preda ad un istinto al quale non si può dare un nome, poiché parlare di autodistruzione sarebbe troppo riduttivo. Si crea un’empatia fortissima con lei, col suo ferirsi, con le sue lacrime: ci accompagna fino al finale, il culmine di tutto, un finale muto, senza musica o suoni, che ci ipnotizza e ci lascia senza parole.
La sceneggiatura, scarna, scorrevole, risente indubbiamente dell’influenza della collaborazione con Ozon, nel rappresentare un dramma silenzioso, ma dolorosissimo. La regia è anch’essa essenziale e di alto livello, con qualche virtuosismo, come ad esempio gli “split screen”, che però non risultano mai fuori luogo. La fotografia è nitida, impietosa nel dipingere Esther e il sangue che scorre sulla sua pelle pallida, le ferite che deturpano il suo corpo atletico. Lo score musicale è ridotto all’osso, come in un rispettoso silenzio. Un’ opera dunque che lascia il segno, un segno profondo, quasi quanto le cicatrici della protagonista. Una grandissima prova sia attoriale che registica, purtroppo passata ingiustamente inosservata e mal distribuita, celata agli occhi dei più. Ora è giusto che tutti vedano: nella sua pelle, nella sua carne, nella sua mente preda di un demone senza nome.
Trailer Internazionale:
httpv://youtu.be/HP6Ro-Rwvl8
About Chiara Pani
Conosciuta anche come Araknex, tesse inesorabile la sua tela, nutrendosi maniacalmente di horror,musica goth e industrial e saggi di criminologia. Odia la luce del sole e si mormora che possa neutralizzarla, ma l’ interessata smentisce, forse per non rendere noto il suo unico punto debole. L’ horror è per lei territorio ideale, culla nella quale si rifugia, in fuga da un orripilante mondo reale. Degna rappresentante della specie Vedova Nera, è però fervente animalista, unico tratto che la rende (quasi) umana. Avvicinatevi a vostro rischio.
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nov 07, 2011Posted By
robydickbella rece, complimenti a Chiara, film eccezionale. non sapevo della collaborazione di Ozon.
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nov 09, 2011Posted By
Chiara Panigrazie mille film davvero magnifico ^^