Alle atmosfere angoscianti e riuscite fa da contraltare una trama scarna, un po’ ripetitiva e con un finale assolutamente non all’altezza del resto della vicenda.
Dopo un improvviso blackout gli abitanti di Detroit sembrano misteriosamente svaniti nel nulla: le uniche tracce che restano della loro esistenza sono le auto abbandonate e i mucchietti di vestiti sparsi a terra.
I pochi sopravvissuti si rendono conto che un’oscurità fitta e angosciante si sta facendo strada nella città, inghiottendo le inermi persone che incontra sul suo cammino, mentre le ore di luce progressivamente ed inesorabilmente si accorciano. Luke (Hayden Christensen, Star Wars), Rosemary (Thandie Newton, RocknRolla), Paul (John Leguizamo, Moulin Rouge) e il piccolo James (Jacob Latimore), sopravvissuti grazie a fonti di luce autonome di cui erano in possesso al momento del blackout, trovano rifugio al Sonny’s bar, un locale dotato di un proprio generatore a benzina, dove, interrogandosi sulle ragioni oscure della catastrofe, cercheranno di sottrarsi al buio dilagante con ogni mezzo. Il sentimento di angoscia provato dai protagonisti nella primordiale lotta contro l’oscurità e nella spasmodica ricerca della luce che ridà la vita, è profondamente trasmesso allo spettatore grazie alla solida regia di Brad Anderson (autore del capolavoro L’Uomo Senza Sonno e dell’apprezzato Session 9) che regala atmosfere cariche di pathos (servendosi tra l’altro di un ridotto numero di elementi: pochi personaggi e praticamente un solo luogo d’azione, il Sonny’s Bar) alle quali è impossibile sottrarsi, e dalle quali si rimane potentemente permeati anche quando la visione è ormai terminata.
Alle atmosfere angoscianti e riuscite fa da contraltare una trama un po’ scarna, un po’ ripetitiva e con un finale assolutamente non all’altezza del resto della vicenda. Inoltre, fatto che può risultare irritante, chi ama produrre congetture e si diverte a scommettere sulle cause della tragedia, non sarà soddisfatto alla fine della visione visto che il film non assicura una spiegazione agli eventi che racconta. L’evento da cui trae spunto la trama è storico: il 18 agosto del 1590 una spedizione capitanata da William Irish sbarcava sull’isola di Roanoke per portare aiuti ai coloni insediativisi. Lo spettacolo che si presentò agli occhi del Capitano Irish fu quanto mai sconcertante: l’insediamento era completamente deserto, nessuna traccia dei 117 coloni, che sembravano svaniti nel nulla all’improvviso, lasciando oggetti e abitazioni intatti e immobili. Su uno dei tronchi della palizzata costruita per proteggere la desolata colonia spiccava la misteriosa parola “croatoan”, che troveremo anche graffitata a Detroit nel nostro film. Inutile perdere tempo a cercare il significato della parola, sia nel film che su Google, perché la curiosità non verrà soddisfatta.
Intrigante e misterioso insomma, ma mal risolto, anzi, non risolto. Anderson sa tenere incollati alla sedia e dare vita ad atmosfere da brivido, ma il film crea attesa e suspence a dismisura e ininterrottamente, per poi, alla resa dei conti, non mantenere le promesse e non sviluppare a tutto tondo una trama che, forte anche del coinvolgente e accattivante spunto storico, poteva raggiungere vette ben più alte. Notevole anche se sottovalutata l’interpretazione del giovane Jacob Latimore (il piccolo James) che risulta appassionata e riuscita, contrariamente a quella del più anziano e più esperto Hayden Christensen, che non fa certo sognare.
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