Dopo l’adrenalina della prima puntata, un episodio più soft, concentrato sui microdrammi familiari
Nonostante la prima puntata ci avesse lasciati col fiato sospeso, di fronte al corpo del piccolo Carl riverso al suolo dopo essere stato colpito da un proiettile, il secondo episodio parte da un altro punto di vista, quello del passato. Per qualche minuto Darabont e soci ci riportano nel mondo antecedente all’Apocalisse, mentre Lori si confessa con un’amica riguardo al suo matrimonio in crisi. Il loro colloquio viene però interrotto dalle sirene dell’auto di pattuglia di Shane che la informa dell’incidente che ha coinvolto Rick, adesso all’ospedale sotto i ferri.
Un flashback che mancava ai telespettatori, ancora in attesa di qualche chiarimento in più rispetto a quanto accaduto prima dell’apocalisse zombesca, e che conferma come Darabont stia continuando a seguire lo stesso canovaccio scelto per la prima stagione, alternando momenti di pathos a brevi intermezzi che fanno luce sul passato, uno dei punti più criticati dagli scettici che vorrebbero molte più risposte di quelle che fino a oggi sono state date.
Quando veniamo riportati al presente, gli autori di The Walking Dead lo fanno in maniera scioccante, facendoci ripiombare nell’incubo di Rick che corre disperato (e insanguinato) alla ricerca di un luogo dove poter soccorrere il bambino. Qui veniamo a contatto con un altro gruppo di sopravvissuti che vivono in una fattoria isolata in mezzo al nulla, dove un medico veterinario proverà a salvare la vita a Carl. Siamo di fronte all’ennesimo micro mondo darabontiano, ancora una volta dal sapore classico: un anziano che dall’alto della sua esperienza e del suo carisma tiene unita una famiglia che al contrario si sarebbe dissolta come neve al sole. La fattoria in cui trovano rifugio Rick, Shane e Carl è una sorta di paradiso in terra, apparentemente al di fuori da tutto quanto sta accadendo nel mondo, come se la sua posizione isolata la tenesse al sicuro da qualsiasi pericolo, forse anche troppo.
Tenendo fede al lavoro svolto nella prima stagione della serie, Darabont e soci fanno seguire a una puntata adrenalinica dove mettono tanta carne al fuoco, un episodio più soft, in cui gli zombie non si vedono per oltre metà della puntata, salvo poi ricomparire più affamati che mai (e in formissima visto come corrono!) in un finale nuovamente emozionante e che ci lascia ancora una volta col fiato sospeso. L’attenzione degli autori è tutta concentrata sui microdrammi familiari che si stanno consumando all’interno del gruppo di sopravvissuti diviso in due: da un lato Rick (e poi Lori) riuniti al capezzale del figlio gravemente ferito; dall’altro la ricerca disperata della piccola Sophia ancora dispersa nel bosco. Una scelta che conferma quale sia l’obiettivo della serie che questa volta, però, si va un po’ a impantanare nella spiegazione di se stessa, senza riservare i consueti colpi di scena a cui ha abituato i suoi appassionati.
In questo secondo episodio, i personaggi stentano a uscire dal loro ruolo, quasi ingabbiati nella propria parte all’interno del gruppo, e chi prova a farlo (ad esempio Shane e i suoi propositi di abbandonare i compagni) viene ributtato con violenza nella micro realtà che sta vivendo, costretto ad addossarsi nuove responsabilità. Le ultime sequenze fanno sperare in un terzo episodio nuovamente all’insegna della lotta e della fuga e confermano quanto accennato già all’inizio della seconda stagione: gli zombie stanno cambiando, non sono più le anime dannate che vagano senza meta, ma veri e propri predatori di uomini.
About Marcello Gagliani Caputo
Giornalista pubblicista, scrive racconti (Finestra Segreta Vita Segreta), saggi sul cinema di genere, articoli per blog e siti di critica e informazione letterario cinematografica, e trova pure il tempo per scrivere romanzi (Il Sentiero di Rose).