Il nostro si lancia in un genere già di per sè immutabile in saecula saeculorum e porto franco per chiunque abbia un pruritino horror da togliersi, abbastanza soldi per farlo e nessun idea decente per farlo bene.
Il dr. Walter Newman, responsabile del manicomio di Edgewood, è un genetista convinto di trovare la soluzione a buona parte delle malattie che flagellano l’umanità attraverso l’ingegneria genetica.
Sostenuto attivamente dalla sibillina infermiera Ms. Tinsley, il dr. Newman arriva a coinvolgere alcuni dei più pericolosi ospiti dell’istituto pur di venire a capo del suo complicato puzzle genetico. Ma quando la di lui compagna gli chiede di fare un passo indietro rispetto alla propria ossessione in nome della coppia di gemelli che arriverà, sarà Ms. Tinsley a proseguire segretamente nella missione del dottore, coinvolgendo suo malgrado la giovane gestante. Un coinvolgimento che darà tutti i propri orribili risultati al momento del parto e per molti, molti anni a seguire…
Brutta bestia la manipolazione genetica, quando sei un dottorino con ambizioni inversamente proporzionali al tuo talento, con una moglie in dolce attesa che non vorrebbe altro che una vita tranquilla lontana dalla tua logorante ossessione di salvare il mondo e una spietata collaboratrice capace di non guardare in faccia a nessuno pur di concludere quella missione che tu, a conti fatti, non hai il coraggio di portare fino alle estreme conseguenze. In un’ipotetica scala di valori globale di chi scrive, ben peggio della manipolazione genetica capace di creare mostri c’è la totale assenza di un reale perché nelle azioni di soggetti come il nostro Ric La Monte, registucolo yankee capace nell’arco di due lustri di metter mano, idee e energie e finanze in tre pellicole, due horror e uno pseudo-musical, una più brutta, inutile e insulsa dell’altra. In questo specifico caso il nostro si lancia nella evidentemente inesauribile vena del survival, genere già di per sè immutabile in saecula saeculorum e porto franco per chiunque abbia un pruritino horror da togliersi, abbastanza soldi per farlo e nessun idea decente per farlo bene.
The Tenant è innanzitutto un film spezzato a metà, con un prologo inutilmente lungo una mezz’ora buona che vorrebbe gettare le basi della vicenda e rappresentare l’anima più d’atmosfera dell’insieme ma scende come un pesante e sonnifera cappa scura sulle nostre teste per non lasciarle più, convinta forse che basti buttare nella mischia un inconfondibile volto cult – un Michael Berryman (Le Colline Hanno gli Occhi) dal minutaggio effettivo ancora più risicato della media delle sue ultime prestazioni – perché la ricetta d’atmosfera funzioni. Una volta menato il torrone con criminale lentezza il nostro passa all’azione, catapultandoci ai giorni nostri nel prevedibilissimo teatrino standard composto dal solito gruppo di teen-agers, da un manicomio ormai abbandonato e dal boogeyman figlio degli infami esperimenti di vent’anni prima nascosto al suo interno pronto fare scempio dei loro giovani corpi, secondo uno schema narrativo ed estetico terribilmente convenzionale e derivativo e privo di alcun spunto vagamente personale, costruito su un paio di un paio di colpi di scena intuibili sin dai titoli di testa. Del tutto privo delle stimmate di quella cristallina bruttezza pur capace di risvegliare nello spettatore un qualche singulto di disgustata vitalità, The Tenant rientra nel ricco novero dei più classico e deprimente sonniferi su celluloide, un film concepito morto e senza un perchè, che rispetta in pieno quanto promette: il nulla.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.