Bello e interessante il lungometraggio d’ esordio dell’ australiano James Rabbitts: thriller nella forma, orrorifico nei contenuti.
Parte piuttosto in sordina questo “The Clinic” ,pellicola australiana del 2010 scritta e diretta da James Rabbitts, qui alle prese col suo primo lungometraggio (è imminente la sua seconda prova, l’action-thriller “The Aurora Stone”) .Inizia in modo piatto, quasi banale, per poi crescere progressivamente e svilupparsi in un film interessante, ben diretto e dallo spunto originale.
Beth (Tabrett Bethell, che offre un’ottima prova d’attrice) e Cameron (un bravo Andy Whitfield) , sono una giovane coppia in viaggio, alla vigilia di Natale, e con un bebè in arrivo. Il film annuncia subito la collocazione temporale della storia, il 1979, ossia “sei anni prima dell’ introduzione del test del DNA”. Sorta di targhetta di presentazione per ciò che accadrà ,enunciato iniziale che acquisirà pieno significato con lo svolgersi degli eventi. Nel corso del viaggio, la coppia decide di sostare in un motel (è ormai automatismo dell’ inconscio collettivo che ogni motel rimandi a Psycho, poco importa se sia stato intenzionale o no da parte del regista), il cui proprietario (l’efficace Boris Brkic) è, a dir poco, ambiguo e assai rozzo.
Beth è perseguitata da uno strano incubo sull’ imminente maternità, incubo che troverà senso e significato al termine della pellicola. Durante la notte, Cameron si assenta un momento, e al suo ritorno Beth è sparita.Fin qui dunque, nulla di particolarmente nuovo, il che porta lo spettatore a pensare di trovarsi di fronte alla solita storia di “ricerca dell’amata scomparsa da parte dell’uomo/eroe”, solitamente banale e sempre uguale a se stessa. Il film, invece, offre una sorpresa: dalla sparizione di Beth,la narrazione inizia a prendere forma, e progressivamente avvince in misura sempre maggiore. La ragazza si sveglia, priva del pancione e con un taglio cesareo, in una vasca da bagno piena di ghiaccio, in un luogo sinistro e spoglio. Su una sedia, un camice con stampati dei numeri romani. Beth trova altre donne nelle sue condizioni, e il gruppo si mette dunque in cerca di quanto è stato loro sottratto: i bambini che portavano in grembo.In realtà, li trovano ben presto: ma come riconoscere quale sia il proprio? Non si svelerà di più, ovviamente, ma si può comunque dire che il meccanismo del film è assai meno prevedibile di quanto ci si aspetti: sulle prime, è inevitabile non percepire echi di Hostel, ma la pellicola vira intelligentemente verso altre direzioni.
Cameron si mette ovviamente alla ricerca di Beth ma ciò non è il perno del film, poiché gran parte della pellicola è claustrofobicamente incentrata all’ interno dell’edificio, focalizzata sulla disperata ricerca di questo gruppo di donne estranee tra loro, ma legate dalla stessa, fortissima, dolorosa necessità. Probabilmente, una più attenta e approfondita analisi delle dinamiche che man mano si creano all’interno di questa microcomunità femminile avrebbe ulteriormente giovato al film, gli avrebbe dato ancor più spessore. Il punto centrale del plot, svelato appieno nel finale, è inquietante e rievoca memorie lugubri. La vera forza della pellicola sta nella rappresentazione della Donna in quanto Madre a 360 ° , nella riflessione sulla forza feroce, animalesca e primordiale dell’istinto materno. Nella Madre privata del figlio emergono risorse e pulsioni che lei per prima non sospettava neppure di avere, un’energia anche oscura, ma inesorabile. La parte finale scioglie i nodi, anche se qualche incongruenza di sceneggiatura c’è, e non tutto si incastra alla perfezione.
La recitazione è di buon livello, il montaggio è efficace e dà il giusto ritmo alla storia, lo score musicale è rarefatto ma ben presente nei momenti giusti. Notevole la fotografia, fredda come il luogo di prigionia delle donne, ad opera di Brad Shield, già operatore di ripresa per titoli come Moulin Rouge e Pitch Black. Pare che Rabbitts abbia tratto ispirazione da vicende reali, prima fra tutte quella riguardante la statunitense Lisa Maria Montgomery, che nel 2004 confessò di aver assassinato una donna incinta al fine di rapirne il bambino. Un film dunque, che si pone al di sopra della media dei prodotti di recente fattura: thriller nella forma, horror (in quanto orripilante) nei contenuti della storia. Una bella e affascinante riflessione sulla figura femminile, sulla sua forza e sulla violenza dei suoi istinti, che si affianca a un tema crudele e tristemente reale. Un film che merita la visione, e che ha il dono, non troppo comune, di non lasciare indifferenti.
httpv://www.youtube.com/watch?v=10FFQyN4I9U
About Chiara Pani
Conosciuta anche come Araknex, tesse inesorabile la sua tela, nutrendosi maniacalmente di horror,musica goth e industrial e saggi di criminologia. Odia la luce del sole e si mormora che possa neutralizzarla, ma l’ interessata smentisce, forse per non rendere noto il suo unico punto debole. L’ horror è per lei territorio ideale, culla nella quale si rifugia, in fuga da un orripilante mondo reale. Degna rappresentante della specie Vedova Nera, è però fervente animalista, unico tratto che la rende (quasi) umana. Avvicinatevi a vostro rischio.