Red è film forse non perfetto, ma preziosissimo e coraggioso.
Jared, Travis e Billy-Ray decidono di andare da una donna matura che li ha invitati, attraverso un sito internet, per fare sesso di gruppo. I tre ragazzi arrivano alla roulotte della donna che li fa entrare e gli offre da bere, i giovani sono stati drogati e svengono.Jared quando si risveglia capisce di trovarsi nella chiesa del pastore Abin Cooper, noto nella zona per essere un fanatico religioso.
Kevin Smith è un nome importante nel campo delle commedie, anche se la sua stella si è un po’ offuscata, film dopo film, nel panorama hollywoodiano. Però Kevin Smith, l’ex ragazzo tuttofare della Miramax, a suo modo è un genio e ha girato almeno un quartetto di opere che quando morirà (e ci auguriamo sia molto tardi) gli avranno garantito un posto nel paradiso dei registi.
Parliamo di Clerks, Generazione X, Dogma e In cerca di Amy, film che sono partiti dal bianco e nero più gelido per approdare nei colori più forti del cinecomix, che hanno surclassato il minimalismo da Sundance film festival per portare alle platee meno sofisticate temi non facili come il rapporto di coppia, le discriminazioni sessuali o il culto della religione. Dopo non è stato più la stessa cosa, la saga iniziata da Clerks ha cominciato a vacillare e i personaggi sono diventati un po’ troppo incolore, macchiettistici e gli intrighi troppo vicini al bambino che, dopo essersi messo un dito nel sedere, lo guarda esclamando con un sorriso “’Chifo!”. Kevin cinematograficamente ha ceduto alle lusinghe di Hollywood, ha perso lo sguardo del fanciullino ambendo un cinema più maturo, ma lontano dal suo sguardo smaliziato.
Jersey girl è stato il primo passo verso il nulla: a una serie di gang simpatiche (memorabile il discorso-incontro tra Ben Affleck e Will Smith, ex principe di Bel air) non corrisponde un moralismo troppo marcato che, se nei film precedenti diventava modo per ragionare sui limiti delle nostre idee (sessuali, sociali, ideologiche), qui altro non è che un elogio banalmente celentanesco al ritorno alla vita povera, ma felice contro le lusinghe dei soldi aridi di sentimenti. Non va meglio con Clerks 2 dove ogni schetch è esagerato, i personaggi sono impoveriti e la semplicità del prototipo viene contaminata dall’artificiosità di un film che vuole fare ridere a tutti i costi, riuscendoci soltanto con l’accumulo di volgarità. Jack and Miri make a Porno (ma a suo modo pure l’anonimo, ma divertente Cop Out), è un ritorno al Kevin amato, ancora non all’apice della forma, ma dalla voglia di rinnovarsi e rimettersi in pista. Ecco allora che arriva questo Red state, in un periodo che la fama del regista è anche oltre il cinema, nel fumetto, dove si è costruito la nomea di autore intelligente e dissacrante con le icone Marvel o Dc.
Se il suo punto apice si è avuto con la saga de Il diavolo custode, dove abbiamo visto un Daredevil mai così umano e fragile, non disprezzabile è stato il suo apporto alla figura di Batman nel discontinuo, ma interessante, Cacofonia. Red state viene annunciato come un horror, ma, genio o scelleratezza, non lo è o almeno non lo è del tutto. Iniziamo a dire che l’opera è imperfetta, i registri cambiano di continuo, si passa dalla commedia, al torture porn alla Hostel per poi arrivare ad un assedio da action movie. La stesso stile di Kevin Smith, lui che è stato tacciato più volte dalla critica di non essere un virtuoso della macchina da presa, è mutaforme: nella prima parte ci sono molte sequenze statiche, quasi da cinema da camera di impianto teatrale (i più feroci lo chiamerebbero paratelevisivo), per poi, nella seconda parte, cercare le inquadrature più dinamiche riprendendo una lunga sparatoria con grande senso del ritmo.
I dialoghi sono tutti curati, anche quelli che sembrano semplice contorno, ma è questo il genio di un autore che sa guardare nel banale quotidiano per affrontare argomenti di un certo rilievo. In questo senso la figura del reverendo Abin Cooper è smithiana al cento per cento: parla ad un gruppo eterogeneo di popolani facendosi capire da tutti, bambini, adulti, ritardati, usando un gergo semplice anche per parlare di morte. Così anche Smith arriva dove magari un altro regista farebbe cadere l’ago della sua bilancia su un registro difficilmente comprensibile da un gruppo o da un altro, lui invece riesce a rendere il tutto fruibile a chiunque, non esagerando in nessun elemento della sua opera. Ed è per questo che Red state ha avuto i suoi problemi in America, dove sembra che, malgrado proiezioni entusiastiche nei vari festival, vedrà il buio di un’uscita diretta in dvd. Ma perchè? Non è un’opera valida? No ma è un’opera sincera e si sa la sincerità non è apprezzata da tutti. Red state parla del cuore sanguinante dell’America, affronta il tema dell’11 Settembre, la paura del diverso, l’abbraccio della religione come unica ancora contro un nemico senza Dio, si interroga sulla fallacità della religione, le varie interpretazioni di un versetto, ma soprattutto non ha personaggi sui quali identificarsi, tutti alla fine siamo comprimari di una storia e tutti alla fine possiamo morire.
Spietato, disilluso, ma con uno stile ormai consolidato d’ironia al fulmicotone, Kevin Smith descrive un’America allo sbando dove la polizia non è amica del cittadino, troppo stupida e corrotta, troppo cieca e ubbidiente agli ordini anche quando si tratta di massacrare bambini. Lo sceriffo della cittadina ne è esempio: mosso dalla vergogna di una propria sessualità (è gay) cerca di rispondere alla violenza di un razzismo con la violenza di un’omertà cieca che porta allo sterminio totale di ogni testimone. E’ un po’ un personaggio che ricorda la polizia di L’ultima casa a sinistra, altro importante film politico, una serie di macchiette alla Hazzard in un contesto di realismo disarmante. Smith non ha pietà per nessuno e non parteggia per nessuno, il suo Stato d’allerta è uno Stato che abbraccia il secondo emendamento, l’uso delle armi da fuoco, le stesse armi usate dalla polizia e i suoi oppositori a Waco, da uno studente a Columbine, azzerando quindi il divarico tra buoni e cattivi. Ma purtroppo l’opera ha così tanti temi dentro, così tante cose da dire che alla fine termina troppo in fretta diventando per assurdo superficiale. Anche se la chiusa di un disilluso John Goodman alla commissione che lo sta giudicando per aver trasgredito gli ordini (uccidere innocenti) è da antologia e racchiude il senso di un film forse non perfetto, ma preziosissimo.
“Mia nonna da parte di madre aveva questi due cani, puri segugi entrambi sbucati dalla stessa spazzatura. Ha tenuto loro e ha dato gli altri ai vicini. Entrambi si conoscevano da quando avevano la merda negli occhi. Nessuno dei due e’ stato trattato meglio dell’altro. I cani piu’ docili che tu abbia mai incontrato. Ad ogni modo…Quando avevo 9 anni, il giorno del Ringraziamento, questi due vecchi cani mi girano intorno perche’ sanno come stanno le cose… Sono un amante degli animali che non finisce la sua zuppa. Percio’ poco prima mi sono alzato da tavola ho lanciato a questi due vecchi una coscia di tacchino attaccata a un grosso pezzo di cartilagine.Ed e’ stato come se non si fossero mai incontrati. Si sono azzannati cosi’ ferocemente… i denti e gli artigli e la giugulare… Hanno dimenticato tutto quello che avevano in comune e si sono azzuffati come se quell’avanzo decidesse tra la vita e la morte. Le persone fanno le cose piu’ strane quando credono di averne il diritto. Ma fanno cose ancora piu’ strane quando credono semplicemente”.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.