Torna al cinema il terzo episodio del fortunato franchise horror nato da un esperimento a bassissimo costo. Il primo capitolo della serie fu un vero e proprio caso cinematografico. Una pellicola autoprodotta e girata in quattro mesi a casa del regista che riuscì a guadagnare quasi duecento milioni di dollari.
Inevitabile fu il seguito, un’operazione commerciale dai lauti guadagni che riuscì, tuttavia, nel difficile compito di dare un senso all’esile storia narrata dal capostipite della serie. Come si può rinunciare a una miniera d’oro di tal portata? Non si può, ed ecco quindi il terzo capitolo. Il film, diretto dai documentaristi Henry Joost e Ariel Schulman e scritto da Christopher B. Landon (Disturbia), è un prequel delle due precedenti pellicole che esamina le origini della maledizione che insegue le sorelle Katie e Kristy. Ambientato nel 1988, racconta in presa diretta la prime esperienze sovrannaturali avute dalle due giovani protagoniste nella loro infanzia.
Valutando il film con un immaginario strumento capace di misurare la paura, è fuori da ogni dubbio che Paranormal Activity 3 riceverebbe un ottimo voto. L’idea della telecamera che oscilla lentamente a destra e sinistra per inquadrare cucina e salotto è geniale, così come il riutilizzo di tutti quegli escamotage che avevano funzionato per i primi due capitoli della serie. Gli spettatori afferrano i braccioli delle poltrone con forza, si coprono gli occhi e urlano più volte per lo spavento.
Se però consideriamo questa pellicola come parte integrante della serie Paranormal Activity, beh, non si può che rimaner delusi. I primi due film costituivano un perfetto binomio tra paura e storia. Il primo capitolo dava maggior spazio all’adrenalina senza tentare di dare nessun tipo di spiegazione, il secondo magari peccava un po’ di pathos ma completava la storia della famiglia Featherstone. Questo terzo film avrebbe dovuto, almeno secondo le aspettative degli spettatori, chiudere il cerchio e dare una risposta alle domande rimaste in sospeso. Non è così.
Paranormal Activity 3 concede alcune risposte, ma solleva una tale quantità di nuovi quesiti che nemmeno gli sceneggiatori di Lost avrebbero potuto far meglio. L’impressione è quella che non si voglia mollare quella che appare come un’inesauribile fonte di guadagni, ma per quanto gli spettatori potranno sopportare questo gioco svuota portafogli?
Una nota a parte va riservata, infine, agli espedienti per mantenere il carattere found footage della serie. Essendo ambientato nel 1988, quando ancora non erano molto diffuse le microcamere di sicurezza o le telecamere dotate di visione notturna, gli sceneggiatori hanno dovuto affrontare il problema di come mantenere il tono simil-documentaristico tipico della serie. In questo senso è stata una scelta azzeccata quella di dichiarare che il patrigno di Katie e Kristy realizzi per lavoro dei video matrimoniali (anche se magari è esagerato mostrare una vera e propria stazione di montaggio nel garage della casa), ma solleva non pochi dubbi il suo impellente desiderio di muoversi sempre con la voluminosa telecamera in spalla. Come se non bastasse questo, c’è poi il problema della luce nelle scene notturne. Che la camera delle bambine sia illuminata da un colorato acquario ci può stare, ma che quella dei genitori sia esposta a una luce esterna in stile faro alogeno è alquanto discutibile, e non dimentichiamo la luce sempre accesa in salotto o cucina. D’accordo che in un film horror questi dettagli magari hanno meno importanza, però un minimo di credibilità bisognerebbe mantenerla.
Paranormal Activity 3 è un film trasandato, che appare realizzato per il facile guadagno e non per mettere il punto esclamativo su una serie entrata nella storia del cinema horror. Consigliato a chi si accontenta di fare qualche salto sulla sedia.
About Roberto Gerilli
Mente da ingegnere e animo da scrittore, è un divoratore cinematografico/letterario onnivoro compulsivo. Adoratore del triumvirato King – Palahniuk – Tarantino, sogna di scrivere un fenomeno editoriale che riesca a fondere i tre stili tanto amati, ma nel frattempo si accontenterebbe anche solo di trovare un editore per uno dei suoi progetti letterari.
Twitter •