Cos’è il Male? E’ qualcosa che tutti noi, in diverse misure, abbiamo dentro. C’è chi respinge il proprio lato oscuro, e c’è chi invece lo abbraccia. Ma cosa accade se l’essenza maligna si concentra in un unico essere, rendendolo la propria personificazione? Né umano né demone, semplicemente “l’incarnazione del Male assoluto”: Michael Myers.
“Le anime più oscure non sono quelle che scelgono di dimorare nell’ inferno dell’ abisso, ma quelle che scelgono di liberarsi dall’abisso e si aggirano silenziosamente tra noi”
(Dr . Samuel Loomis)
“La personificazione del Male assoluto”: così il Dottor Samuel Loomis, interpretato dal compianto Donald Pleasence , definisce Michael Myers, fin dal primo film, l’indimenticabile “Halloween” di John Carpenter, targato 1978 e considerato uno dei capolavori assoluti dell’orrorifico, nonché tra i capostipiti del genere slasher, che si diffonderà a macchia d’olio negli anni ’80.
Omicida della sorella all’età di 6 anni, cresciuto in ospedale psichiatrico e lì affidato alle cure di Loomis, Myers incarna il boogeyman, l’uomo nero: a metà tra la dimensione umana e quella sovrannaturale, lo vediamo prima bambino e poi killer dall’ inquietante maschera bianca, che sopravvive a ogni tentativo di uccisione, dunque, destinato a non morire, proprio come il Male stesso. Myers simboleggia la natura innata della crudeltà, il seme maligno che si annida fin dall’infanzia, una follia che è furia omicida ed è silenziosa, poiché Michael non parla da anni. “Ha gli occhi vuoti, gli occhi del Demonio”, per citare sempre il Dottor Loomis, che gli dà la caccia per 6 degli 8 film della serie (più due remakes a opera di Rob Zombie). Una saga che ha seguito una china per lo più discendente: un primo, memorabile capitolo, un sequel dignitoso, per poi cadere in una serie di film malriusciti e noiosi, nei quali l’incarnazione del Male si riduce a un pupazzo ridicolo.
In tutto questo, si salva per fortuna il settimo capitolo, “Halloween: 20 anni Dopo” (Halloween H20), del 1998, che segna il ritorno di Jamie Lee Curtis e la chiusura dei conti tra lei e Myers. Si distingue leggermente, più che altro per alcuni buoni spunti, il sesto capitolo, “Halloween VI: La Maledizione Di Michael Myers”, film nel complesso mediocre e confuso ma con alcune idee valide: l’ ipotetica spiegazione degli atti di Myers come legati ad antichi riti druidici, strettamente collegati alla festività del 31 Ottobre, funziona, anche se non è sfruttata al meglio nella pellicola. Buono anche l’ambiguo finale, con al centro il Dottor Loomis; il film, è dedicato alla memoria di Donald Pleasence, scomparso all’età di 75 anni poco dopo la fine delle riprese.
La saga si compone anche di due remakes, diretti da Rob Zombie: il prequel /remake “Halloween: The Beginning” (2007), pellicola magnifica che cita e omaggia senza copiare, e al tempo stesso inventa, mostrandoci l’infanzia di Myers, e il meno riuscito ma comunque efficace“Halloween II” (2009).
Myers è dunque “mostro” per molti versi atipico: serial killer psicopatico,ma anche essere più demoniaco che umano; rispecchia il lato più autentico e oscuro dell’ormai volgarmente commercializzata festività di Halloween, in origine Samhain, celebrazione pagana di origine gaelica.
La saga di Halloween dunque, segna l’ascesa e l’ inesorabile declino di un “mostro” che è diventato icona: agghiacciante nel primo film, viene sfruttato fino all’esasperazione sequel dopo sequel, svuotandolo di tutta la sua straordinaria ed evocativa potenza orrorifica.
LE ORIGINI DEL MALE: HALLOWEEN (1978) DI JOHN CARPENTER
Girato in soli 21 giorni e con un budget irrisorio, Halloween, il primo capitolo della saga di Michael Myers è un capolavoro del genere horror, nonché definitiva consacrazione del genio registico di John Carpenter.
Un gioiello di suspense, architettato ad arte, segna il debutto cinematografico di Jamie Lee Curtis e introduce quello che diventerà uno dei “nuovi mostri”: Michael Myers. Film in bilico tra gli anni ’70 e gli ’80 , in un’America che non ha dimenticato la “sporca guerra” ma che già pregusta l’abbondanza che l’attende, “Halloween” è una stilettata nello stomaco: sottile, insinuante, suggerito e non urlato, è definito il capostipite dello slasher. Definizione in parte riduttiva, più che altro perché questo grande Padre ha partorito figli degeneri: film fatti solo di bodycount, ossia conteggio di cadaveri, spesso senza sostanza e dalla trama fragilissima.
Myers diventerà un ‘icona per gli amanti del genere e rappresenta una figura più complessa di quanto possa sembrare: responsabile dell’omicidio della propria sorella all’età di soli 6 anni, Michael viene rinchiuso in manicomio e affidato alle cure del Dottor Loomis (il grande Donald Pleasence). E’ proprio dalle parole di Loomis che si delinea il primo, originario profilo di Myers: un essere senz’anima, che ha poco di umano, spesso definito da Loomis “demonio” e “incarnazione del male”. A metà tra umano e sovrannaturale, Myers sopravvive a tutto ciò che ucciderebbe chiunque altro. Uomo o mostro, dunque? Michael si muove lento, quasi come un automa, e come tale uccide, meccanicamente. Non proferisce parola e lo si sente soltanto respirare pesantemente. La chiave di tutto è qui: nel mistero che per ora circonda il personaggio, nel “non detto” e soprattutto nel “non visto”. Un film perfetto, che non avrebbe avuto bisogno di nessun seguito. Una pellicola che è riflessione sul Male e su come esso si annidi nell’uomo, fin dalla più tenera età; Male dunque come caratteristica innata, incisa nel DNA. Male come mancanza di anima, lo “sguardo vuoto” di cui parla Loomis. Un film che narra senza svelare troppo, anche qui sta la sua straordinaria bellezza. I seguiti, purtroppo, hanno spesso commesso l’errore di urlare, dopo lo straordinario sussurro degli esordi.
I SEQUEL
Il primo dei seguiti, Halloween II: Il Signore Della Morte, è targato 1981, diretto da Rick Rosenthal e la sceneggiatura porta ancora la firma di Carpenter e Debra Hill, anche produttori del film. La pellicola ha inizio esattamente dove termina la prima, ossia durante la notte di Halloween ad Haddonfield, nel 1978. Laurie ha sconfitto Myers, che precipita da una finestra, restando esanime a terra. Per poi scomparire subito dopo, all’affacciarsi del Dottor Loomis; Laurie è in ospedale, in seguito alle ferite ricevute. E ha anche strani incubi sulla sua infanzia. Nonostante le forze dell’ordine lo credano morto per ustioni in seguito a un incidente, avvenuto sotto gli occhi di tutti, Loomis compreso, il medico sostiene che il killer sia ancora vivo. La sua tesi non tarda a rivelarsi vera. In questo secondo episodio si svela un nodo importante, ossia il motivo che ha portato Michael verso Laurie: la ragazza infatti, è stata adottata dagli Strode, ed è in realtà l’altra sorella di Michael. Il film vede la morte del personaggio di Loomis, che si sacrifica per salvare la vita di Laurie. In realtà, Loomis non è morto, come si vedrà più avanti.
Tra tutti i sequel, questo è il più fedele all’originale, e ne è il seguito nel vero senso della parola, sviluppando la narrazione dal punto in cui era terminata. Certo, Rosenthal non è Carpenter ma la regia è comunque degna; a differenza del primo film, qui l’orrore si manifesta da subito, ed è meno suggerito. Possiamo vedere in maniera chiara lo sguardo di Michael, attraverso la maschera, quegli “occhi del Demonio” di cui Loomis parla con timore quasi reverenziale. La pellicola ha una certa atmosfera, per quanto sia più puramente slasher. Interessante lo sguardo critico sul ruolo dei media, invasivi e dediti allo sciacallaggio della tragedia. La spiegazione delle motivazioni di Myers, del suo particolare interesse verso Laurie, non è superflua ed è comunque ben funzionale alla storia.
Qui sentiamo Loomis parlare della festività di Samhain, traducendo il termine come “Signore della Morte”: traduzione non del tutto esatta; la parola ha vari significati, tra cui “adunata” (riguardante i Druidi) e più comunemente “fine dell’ estate”, il significato usato nel film è più sensazionalistico e un po’ posticcio.
Il film è comunque spesso noioso, e la suspense non tiene a dovere. Era volontà di Carpenter far terminare la serie con questa seconda pellicola, facendo coincidere la morte di Loomis con quella di Myers.
Il terzo film, Halloween III: Il Signore Della Notte, diretto da Tommy Lee Wallace nel 1982, e ancora prodotto da Carpenter e dalla Hill, si slega completamente dai due capitoli precedenti, con l’ assenza della figura di Michael Myers. Una “direzione diversa” secondo il regista, una contraddizione in termini, secondo il pubblico. La trama si rifà al modello del “mad doctor”: Cochran, proprietario della Silver Shamrock Novelties,una fabbrica di giocattoli, ha un piano diabolico: uccidere i bambini nella notte di Halloween tramite le maschere prodotte in occasione della festa. In esse, infatti, si celano un chip e un frammento di una pietra sacrificale; il chip si attiverà durante la notte del 31, alla messa in onda televisiva della pubblicità della Silver Shamrock, causando la morte di coloro che portano la maschera. Scopo di tutto ciò, è riportare alla luce il vero significato della festa celtica di Samhain e delle pratiche stregonesche ad essa legate. A dare la caccia al villain, il dottor Challis (Chris Atkins) ed Ellie Grimbridge, figlia della prima vittima, un negoziante prima impazzito e poi morto di infarto dopo aver toccato una delle maschere.
Lo spunto di per sé può meritare la sufficienza, nel suo riallacciarsi alle origini celtiche della festività, e alcune scene sono azzeccate, ad esempio la simulazione in laboratorio della morte di un bambino che indossa una delle maschere di Jack-o’-lantern: è disturbante e originale nella sua cattiveria. Purtroppo, non è abbastanza: la regia è di taglio medio, e la volontà di slegarsi completamente dal modello originale si rivela un’arma a doppio taglio, poiché il film è come un corpo estraneo all’interno della saga.
Il quarto episodio, Halloween IV: Il Ritorno di Michael Myers, porta la firma di Dwight H. Little ed è prodotto nel 1988. Il film segna il ritorno del Dottor Loomis, sopravvissuto all’esplosione dell’ospedale, dieci anni prima, e ora segnato da pesanti ustioni. Laurie è morta, Michael è rimasto in coma ma si risveglia alla notizia dell’esistenza di una figlia di Laurie, la piccola Jamie (citazione?), che ora vive ad Haddonfield ed è stata adottata. Myers dunque si mette in cerca della nipote, e Loomis si ritrova ancora una volta a dargli la caccia. Ma non ha ancora fatto i conti col fatto che Jamie ha ereditato dallo zio ben più di quanto si pensi…..
Un capitolo stanco: la regia è accettabile, ma la sceneggiatura presenta parecchi buchi; qualche buona idea c’è, soprattutto nel finale, che nel complesso funziona. Ma l’insieme è molto forzato e si ha la netta impressione che si stia cominciando a raschiare il fondo di un bidone che non ha più molto da offrire.
Impressione che viene purtroppo ampiamente confermata dal quinto capitolo, Halloween V: La Vendetta di Michael Myers, del 1989 e che vede alla regia lo svizzero Dominique Othenin-Girard. Il film parte da dove terminava il precedente ed è ancora incentrato su Jamie, ricoverata in clinica psichiatrica dopo aver tentato di uccidere la madre adottiva, con un paio di forbici, alla fine del quarto episodio (aperta citazione dell’omicidio a opera del piccolo Michael nel primo film). La bambina pare aver sviluppato un contatto telepatico con lo zio, poiché riesce a vedere gli omicidi da lui commessi. Myers si rimette in cerca della nipotina, e Loomis sta alle costole ad entrambi, manifestando apertamente il suo astio verso la bambina, in quanto la vede come protettrice del killer. Purtroppo, si cade veramente in basso, con questa pellicola che, a questo punto della saga, può essere considerata la peggiore in assoluto, seguita a ruota dalla precedente. Loomis ormai è la caricatura di se stesso, nulla di più che un vecchio folle. Vediamo aggirarsi una figura nerovestita, la cui identità verrà svelata nel sesto film. Il fondo lo si tocca con Myers: davanti alla piccola Jamie che gli chiede di scoprirsi il volto e lo chiama zio, lo vediamo versare una lacrima. L’incarnazione del Male assoluto dunque, preda di sentimentalismi umani: il tutto è patetico, inutile, una sorta di elogio funebre a quanto detto finora sul personaggio.
La regia nel complesso si salva, ma la storia è indifendibile, minata anche da un Pleasence troppo sopra le righe, quasi fuori parte. Un capitolo dunque, da dimenticare in fretta.
Si arriva così al sesto film, Halloween VI: La Maledizione di Michael Myers, diretto nel 1995 da Joe Chappelle. E’ l’ultimo ruolo cinematografico per Pleasence, che morì poco dopo il termine delle riprese, per complicazioni legate ad un intervento chirurgico al cuore (il film, infatti, è a lui dedicato) . La pellicola ha sofferto di notevoli travagli produttivi, la sceneggiatura passò attraverso ben dodici differenti versioni, prima della stesura definitiva. Il risultato finale, ovviamente, ne risente.
Ritroviamo Jamie, diventata una giovane donna (e non più interpretata da Danielle Harris), prigioniera di un gruppo di adepti di un culto druidico. E’ incinta e partorisce; riesce a scappare col neonato, ma la setta si mette in moto per trovare il bambino. Michael uccide Jamie, e il piccolo viene ritrovato dall’ormai adulto Tommy, il bambino a cui Laurie faceva da babysitter nel primo film. La vecchia casa dei Myers è abitata da parenti degli Strode, che ignorano cosa sia accaduto lì. Non tarderanno, ovviamente, ad accorgersene a proprie spese. Loomis è in pensione ma il Dottor Wynn, direttore dell’ospedale psichiatrico di Smith’s Grove che ospitò Michael per anni, gli chiede di tornare. Ricomincia dunque, l’eterna caccia a Myers. L’idea di fondo è buona, soprattutto nello spiegare la furia omicida di Michael, attribuendola alla leggenda della Maledizione di Thorn (demone collegato al simbolo tatuato sul polso del killer, ossia la runa Thurisaz); interpretazione fantasiosa ma comunque affascinante. Il film però, è troppo confuso e farraginoso per poter funzionare. Pleasence è visibilmente stanco e il suo cagionevole stato di salute è evidente. Si salva il buon finale, ambiguo ed aperto a più interpretazioni. Un film dunque che portava in sè un buon potenziale, ma nel complesso mal realizzato, ed a tratti noioso.
Eccoci quindi al settimo capitolo della saga, Halloween : 20 Anni Dopo (Halloween H20), pellicola del 1998, diretta da Steve Miner e che segna il ritorno di Jamie Lee Curtis.
Laurie, creduta morta in un’incidente, è ancora viva: risiede in California sotto falso nome (Keri Tate), ed è preside in una prestigiosa scuola. Ha un figlio di 17 anni, John, verso il quale è iperprotettiva, fino alla paranoia. Laurie, infatti, non ha per nulla superato il trauma che l’ ha segnata: soffre ancora di incubi, ha problemi con l’alcool, e vive in un perenne stato di tensione. Myers ovviamente la troverà, e si arriverà alla resa dei conti. Dopo i precedenti episodi di basso livello, finalmente la saga torna a risollevarsi, regalandoci un film ben girato, ricco di citazioni, dai dialoghi non banali e ottimamente interpretato. Buona anche l’analisi del rapporto madre/figlio, minato dall’instabilità di Laurie. La pellicola può ricordare il craveniano Scream, uscito due anni prima, per alcune situazioni e lo stile di regia. Il risultato è comunque buono, e può essere considerato tra i migliori capitoli della serie. Nel film compare anche Janet Leigh, che nella vita reale è la madre di Jamie Lee Curtis.
La pellicola si conclude con Laurie che decapita il fratello, dopo un duello faccia a faccia carico di tensione emotiva; dunque, la saga pare essersi chiusa per sempre.
Purtroppo, non è così: ecco arrivare, nel 2002, il trascurabilissimo ottavo capitolo Halloween: Resurrection, che vede di nuovo Rick Rosenthal alla regia. Il prologo del film ci mostra Laurie, ricoverata in clinica psichiatrica dopo aver scoperto che colui che ha decapitato tre anni prima non era Myers, bensì un paramedico (a cui Myers sfondò la laringe per impedirgli di parlare, scambiando gli abiti per ingannare Laurie). Forzatura che rasenta l’ assurdo, con l’unico fine di far proseguire una serie di film che avrebbe potuto concludersi in modo degno.
Myers come sempre la trova, e questa volta la uccide: ”ci vediamo all’inferno”, questo l’ultimo saluto della sorella a Michael, mentre cade nel vuoto. L’anno successivo, come sempre alla vigilia di Halloween, un gruppo di studenti vince un concorso per partecipare a un reality show, durante il quale devono passare una notte nella vecchia casa dei Myers, al fine di scoprire cosa l’abbia portato ad uccidere. Michael, ovviamente, è in agguato, nei tunnel che si snodano nel sottosuolo della casa. Il finale è, anche questa volta, aperto. Un film assolutamente inutile, noioso ed assolutamente privo del benché minimo guizzo di intelligenza. A tutt’oggi dunque, il peggior capitolo in assoluto. Da dimenticare, e anche molto in fretta.
I REMAKES DI ROB ZOMBIE
Il regista/musicista statunitense Rob Zombie, grande appassionato di film horror e già autore degli splendidi “House Of 1000 Corpses”(2003) e “The Devil’s Rejects” (2005), sinceri e originali omaggi al cinema da lui amato, realizza, nel 2007, il primo dei suoi due remakes/tributi alla saga di Michael Myers: “Halloween: The Beginning”. Più che un remake, una rilettura personale del capolavoro di Carpenter, il quale venne interpellato da Zombie prima di mettersi al lavoro sul film, ricevendone il benestare.
La parte di prequel, nella quale sono mostrati prima l’infanzia e poi il ricovero di Myers, si rifà a un segmento di sceneggiatura all’epoca aggiunto da Carpenter per la versione televisiva del film originale: per supplire al vuoto lasciato dalle scene tagliate dalla censura, gli fu chiesto di aggiungere del girato che mostrasse Loomis alle prese col suo paziente Myers ricoverato in clinica; il regista richiamò Pleasence per girare dunque le scene supplementari, destinate unicamente alla versione televisiva.
Vediamo quindi un Michael bambino, magnificamente interpretato da Daeg Faerch, assolutamente perfetto in un ruolo non facile. I Myers sono una famiglia allo sbando: la madre Deborah (la bellissima e brava Sheri Moon Zombie), manda avanti la famiglia lavorando come spogliarellista, è affettuosa ma troppo distratta da una moltitudine di problemi; il nuovo compagno della donna, Ronnie (un magnifico William Forsythe), è un alcolizzato nullafacente, capace solo di maltrattare la famiglia; l’uomo nutre inoltre un lascivo interesse per la figlia maggiore, Judith (Hanna Hall). C’è anche una bambina piccola, verso cui Michael dimostra un forte affetto e alla quale si rivolge chiamandola “Lu”. Le tendenze omicide del bambino si sviluppano molto presto: prima, tramite violenze a piccoli animali, poi, col primo omicidio: massacra a bastonate un compagno, colpevole di aver pesantemente preso in giro la madre e la sorella. Nella notte di Halloween, uccide il patrigno e la sorella maggiore. Ricoverato a Smith’s Grove, è affidato alle cure del Dottor Loomis (un superbo Malcom Mc Dowell, forse un po’ troppo gigione); durante il ricovero, Michael aggredisce violentemente un ‘ infermiera, nel corso di una visita da parte della madre, la quale, disperata per le condizioni psichiche del figlio, si suicida.
Passano gli anni, Michael è diventato adulto (lo interpreta l’attore Tyler Mane, dalla statura a dir poco imponente e somigliante, in alcuni tratti fisici, allo stesso Zombie), le sue condizioni sono peggiorate (non parla da 15 anni) e passa il tempo a costruire maschere che indossa per celare il proprio volto. Loomis decide di abbandonare il suo paziente, in quanto sente che l’attaccamento verso Michael è diventato troppo forte, e malsano. La rabbia di Myers non tarda a esplodere: fugge da Smith’s Grove in cerca della sorellina Lu (Laurie), l’unica che ha risparmiato nella strage di quella notte del 1978. Da qui, il film diventa vero e proprio remake: ritroviamo Laurie (l’ottima Scout Taylor- Compton), Annie (Danielle Harris, che ricordiamo nei panni della piccola Jamie), e ovviamente Myers a piede libero con Loomis a dargli la caccia.
Il film non è una copia pedestre dell’originale, bensì lo reinventa, aggiungendo elementi nuovi e utilizzando trovate visive azzeccate e in alcuni casi geniali. Il cast è una sfilata di icone horror, da Brad Dourif nel ruolo dello sceriffo fino ai camei di Bill Moseley e Udo Kier. Un omaggio sincero e per nulla banale, un vero atto d’amore verso un genere cinematografico, e, in particolare, verso la storia di Michael Myers.
Due anni dopo, nel 2009, Rob Zombie decide di realizzare un secondo film dedicato a Myers, Halloween II: la pellicola è solo in parte remake del secondo episodio della saga, in quanto mescola elementi presi dai sequel successivi.
Il film inizia con un flashback, in cui vediamo Deborah Myers in visita al figlio ricoverato, recandogli in dono una statuetta che raffigura un cavallo bianco; Michael spiegherà che il cavallo lo riporta a un sogno in cui il fantasma della madre gli andava incontro per i corridoi dello Smith’s Grove portando un cavallo bianco, e dicendogli che era lì per riportarlo a casa. La narrazione prosegue partendo dal termine del primo film, con alcune variazioni sul plot. Laurie è vittima di allucinazioni, nelle quali si identifica con Myers e immagina se stessa intenta a uccidere, provandone compiacimento (il rimando alla figura di Jamie è molto chiaro). In seguito a una visione del fantasma della madre, Michael parte per Haddonfield, alla ricerca di Laurie.
Il personaggio di Loomis assume una connotazione negativa: pubblica un secondo libro su Myers e sui fatti di Haddonfield, venendo accusato di speculare sulla macabra vicenda. E’ proprio attraverso il libro che Laurie scopre di essere la sorella di Michael, qui chiamata Angel Myers. Anche lei, come Michael, diventa preda delle visioni della madre morta, e sviluppa un processo di identificazione col fratello, fino al bellissimo ed enigmatico finale: un’ inquadratura, che da sola vale l’intero film.
La pellicola è purtroppo inferiore alla precedente: la regia è sempre ottima, buone anche alcune soluzioni visive, il finale è forte ed efficace ma la sceneggiatura è debole, e il film inciampa troppo spesso in situazioni banali e scontate (le visioni del fantasma). Un seguito, dunque, non degno del suo predecessore, un banco di prova che Zombie non è purtroppo riuscito a superare brillantemente.
IL FUTURO E’ INCERTO: HALLOWEEN III – 3D
Il prossimo capitolo della saga sta avendo genesi travagliata: fu annunciato già nel 2009, nonostante lo scarso successo di Halloween II di Rob Zombie; i fratelli Weinstein, produttori del film, decisero di annullare l’ingaggio di Zombie, cercando un nuovo regista per il terzo film, da girare in 3D. Tra gli altri, fu contattato Alexandre Aja (“Haute Tension”), ma la scelta finale ricadde su Patrick Lussier (regista, tra gli altri, di “Drive Angry” e “San Valentino di Sangue”, entrambi in 3D). Aja ne scrisse comunque la sceneggiatura, in collaborazione con Todd Farmer, con l’idea di far ripartire la narrazione dalla fine del secondo film, tornando dunque alle origini del personaggio. Nel Settembre 2009, il progetto fu interrotto per mancanza di fondi; inoltre, la produzione intendeva realizzare il film in tempi relativamente brevi, entro l’estate del 2010, impresa resa impossibile dall’ uso della tecnica tridimensionale, che rallenta notevolmente il processo realizzativo.
Le ultime dichiarazioni di Lussier risalgono all’Aprile 2010: il regista si disse speranzoso sulla realizzazione del progetto, che però dipendeva interamente dalle intenzioni della Dimension Films. Secondo l’Internet Movie Database, la pellicola sarebbe ancora in fase di pre-produzione, e la sua uscita dovrebbe essere prevista per il mese di Ottobre 2012. Non ci resta che aspettare, e soprattutto sperare che questo possibile sequel non sia l’ennesimo, inutile tentativo di ridar vita al mito di Myers nel modo sbagliato.
About Chiara Pani
Conosciuta anche come Araknex, tesse inesorabile la sua tela, nutrendosi maniacalmente di horror,musica goth e industrial e saggi di criminologia. Odia la luce del sole e si mormora che possa neutralizzarla, ma l’ interessata smentisce, forse per non rendere noto il suo unico punto debole. L’ horror è per lei territorio ideale, culla nella quale si rifugia, in fuga da un orripilante mondo reale. Degna rappresentante della specie Vedova Nera, è però fervente animalista, unico tratto che la rende (quasi) umana. Avvicinatevi a vostro rischio.