Permane un pizzico di quell’atmosfera maligna che Carpenter creò e coltivò, quel terrore senza valvole di sfogo, senza ironia o distrazioni.
Due anni dopo il successo di Halloween (1978) il ferro è ancora caldissimo e la premiata coppia Carpenter-Hill decide di batterlo. Operazione ruffiana?
Ma no dai, l’ineguagliabile capolavoro lascia grande curiosità e qualche spiraglio che i due sceneggiatori sfruttano al massimo consegnando al regista Rick Rosenthal un seguito in tenore di “pilota automatico” che non può fallire la missione di consolidare la fama dell’icona più ambigua e conturbante del panorama horror. E’ proprio questa la prima sensazione: che il film sia intrinsecamente figlio di una narrazione, una tecnica e un’atmosfera precostituita. E che perciò, al di là della firma del regista poi autore del patetico Halloween: La Resurrezione, si debba considerare Halloween II (distribuito inizialmente dalle nostre parti con il titolaccio Il Signore Della Morte) come un’appendice carpenteriana e non un rilancio creativo. Temporalmente contiguo agli avvenimenti del predecessore, Halloween II apre proprio con un riassuntino “della puntata precedente”: lo scontro finale tra Laurie Strode (Jamie Lee Curtis, Non Entrate In Quella Casa) e Michael Myers, in ultimo crivellato di colpi dal Dottor Loomis (Donald Pleasence), suo psichiatra.
Ma il corpo dell’omicida mascherato sparisce e tutto lascia presagire che la notte di Ognissanti, nella solitamente placida Haddonfield, sarà ancora lunga e violenta. Da qui si riparte con il ricovero della traumatizzata Laurie, le indagini di Loomis e la scomoda consapevolezza che Myers si trovi a piede libero. I tenebrosi vialetti del paese sono perfetti per nascondere l’esile presenza del mostro, che diventa in tutto e per tutto un incubo invisibile e spettrale. In men che non si dica un fiuto animalesco conduce Myers all’ospedale che tiene in cura la ragazza, dove l’impassibile furia di Michael renderà l’edificio il luogo meno sano e sicuro della città, fornendo all’equipe medica un mucchio di straordinari. Se la storia è fatta da grandi uomini, le grandi storie horror sono alimentate e consacrate da grandi personaggi: Halloween non fu capolavoro solo grazie a Michael Myers, ma non lo sarebbe mai stato senza di lui.
E’ lui che turba e conturba, con un’anima dove “non c’è coscienza, non c’è ragione, niente di umano”, dove il male cresce senza una ragione, dove l’impulso omicida non è alimentato da vendette o rancori; il male esiste e prende casa in un bimbo di sei anni per non andarsene mai più. Michael è gracile ma implacabile, non prova emozioni ed è per questo che con lui non si potrà mai trattare, solo fuggire. O rinchiuderlo per sempre, lontano da un mondo nel quale tutto sommato Michael non sa che fare, salvo uccidere. Halloween II aumenta di una tacca lo “splatterometro” insistendo sui punti di forza del predecessore che sono l’uomo nero, ovvio, ma anche alcuni spunti tecnici (le ansimanti riprese in soggettiva, principalmente) e personaggi chiave: la Curtis, ineguagliabile scream queen, agnellino in balia di un flagello inimmaginabile e troppo più grande di lei; e Pleasence, indagatore degli abissi mentali di Michael, l’unico a poterlo fermare perché è l’unico che cerca di esplorarne e conoscerne la psiche, per quanto possibile. Rispetto all’epocale esordio ci sono delle carenze, manca una grossa fetta di suspence, così come non perviene lo shock dello scontro finale, che in questo sequel sarà pure teso ma lontano dall’effetto tellurico del primo film.
Permane d’altro canto un po’ di quell’atmosfera maligna che Carpenter creò e coltivò, quel terrore senza valvole di sfogo, senza ironia o distrazioni. Mentre in contemporanea dalle parti di Crystal Lake tra schiamazzi, morti pittoresche ed impennate trash prende forma l’altro megacosmo horror della decade ’80, ad Haddonfield si fa sul serio, di appariscente non c’è molto ma l’attesa e le ombre fanno più male delle coltellate. La notte più cupa e insanguinata dell’anno si chiude qui, prima che sperimentazioni e poi raffiche di seguiti trasformino la leggenda in saga slavata. La roba che segue è (salvo eccezioni, vedi H20) come la testolina di Michael: vuota.
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