Goblin è una pellicola costruita con la passione e la creatività di una catena di montaggio perpetua tanto sistematica quanto prevedibile nel dar vita a prodotti sempre uguali a loro stessi.
31 ottobre 1831: una donna accusata di stregoneria assiste impotente alla morte del proprio figlio neonato, bruciato sul rogo in un feroce rituale di purificazione.
Oggi: un’allegra famigliola e una casetta nei boschi dove passare qualche giorno di relax, isolata in quella stessa natura che quasi duecento anni prima fu testimone di un orrendo sacrificio e della nascita di uno spietato spirito vendicatore a caccia di giovanissime prede per saziare la propria inestinguibile sete di sangue e vendetta…
La natura esclusivamente televisiva di un lungometraggio cinematografico di genere è una condizione piuttosto equivoca quando si tratta di elaborare un giudizio di valore sullo stesso, così sempre in bilico com’è tra l’essere una discutibile attenuante a prescindere – per questo tipo di progetti il medium televisivo è quasi sempre garanzia di devastanti livellamenti verso il basso – e il fascino decisamente retrò che questo formati produttivo esercita su una discreta fetta del pubblico horror, con notevoli picchi quando ci si spinge in territori yankee.
In quest’ottica il prode Jeffery Scott Lando è una vecchia volpe che conosce a menadito certi pollai: dopo una manciata di filmacci da lui stesso prodotti, oltre che girati – il suo Savage Island fa periodicamente capolino in qualche oscura edizione da edicola – deve aver capito che i meccanismi della produzione cinematografica per conto della televisiva e instancabile SyFy fossero più nelle sue corde, tanto che nel solo 2010 sono state ben quattro le produzioni che lo hanno visto spremere pur magri portafogli e meningi su pellicola e videocamera. Ammesso e non concesso che, come sostenuto da buona degli inflessibili sostenitori di questo tipo di produzioni, Goblin sia qualitativamente superiore rispetto alla bassissima media della produzioni SyFy Channel, resta il dubbio che una conquista del genere sia un po’ troppo poco per garantire almeno un’ora e mezza di decenza horror: Goblin è una pellicola costruita con la passione e la creatività di una catena di montaggio perpetua tanto sistematica quanto prevedibile nel dar vita a prodotti sempre uguali a loro stessi, cannibalizzazioni di archetipi horror già cannibalizzati a loro volta da decenni di sfruttamento, sistematicamente composta dando fondo al pur ridotto numero di combinazioni possibili tra generi.
Survival che favorisce una certa ricerca d’atmosfera all’effettistica gore, la pellicola di Jeffeery Scott Lando è il classico horror capace di annunciare tutto quanto sta per succedere un attimo prima che succeda, prevedibile e svogliato affastellamento di dinamiche e suggestioni standard che abbiamo visto uguali dieci, cento, mille volte in progetti figli delle stesse logiche produttive. E a privare il progetto di quel sapore revival di cui sopra, capace a volte di stemperare giudizi troppo tranchant, ci pensa la sostituzione dell’effettistica speciale tradizionale con orrende soluzioni di CG addirittura nell’estetica del boogeyman di turno, nel cui serpentesco e zannuto volto un occhio attento potrebbe quasi individuare uno per uno i pixel che lo compongono. Ciliegina sulla torta, quel poco che resta di Gil Bellows, assunto agli onori delle cronache a cavallo del nuovo millennio come volto noto del serial di successo Ally Mc Beal, dibattersi come un pesce asfissiato in una messa in scena del tutto disinteressata ad una qualsiasi specificità interpretativa. Sogni d’oro.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.