L’epoca vittoriana è stata storicamente fucina di tanta di quella “sensibilità” che oggi noi troviamo nel thriller e nell’horror.
Dalla Rivoluzione Industriale che creerà la massa amorfa del proletariato, sudicia di carbone, privata di ogni diritto, aggiogata alla macchina come uno zombie, al culto per l’aldilà che sfocia nel morboso, nelle sedute spiritiche, nella scienza occulta, gli omicidi di Jack lo Squartatore, che scuotono un’epoca e ne segnano l’animo, per non parlare del gusto per il mistery – che nasce letterariamente parlando proprio in quel periodo grazie a uno scrittore che si chiama Wilkie Collins.
Ed è proprio lui, l’autore di “La pietra di luna” e “La signora in bianco”, la voce narrante nonché uno dei protagonisti di questo affascinante romanzo di Dan Simmons, “Drood”, in cui un grandioso e dettagliatissimo affresco storico s’intreccia a deliranti incubi ed omicidi efferati con un ritmo che non lascia fiato.
Co-protagonista di questa carambola è un altro grandissimo scrittore dell’epoca, il vate dell’età vittoriana, Charles Dickens, al cui ultimo lavoro incompiuto, “Edwin Drood”, il titolo di questo romanzo fa richiamo. E in effetti i rimandi metaletterari in questa opera sono continui, e sono parte integrante del suo meccanismo, nonché del suo fascino. La storia si configura infatti tra biografia, romanzo storico e puro delirio, in cui i due protagonisti sono uno chiaramente affetto da dipendenza da oppio, l’altro ossessionato da manie di grandezza e perseguitato da un personaggio orrido, criminale e sfigurato, Drood appunto, che ha i contorni sfuggenti di un fantasma, vive nelle fogne di Londra, e medita di assoggettare l’Inghilterra alla sua negromanzia. Drood vuole operare il suo crimine proprio con l’aiuto di Dickens e di Collins, del quale diventerà in qualche modo alter-ego, penetrando in modo raccapricciante nel suo cervello e suggerendogli ironicamente anche la trama del suo miglior romanzo, “La pietra di luna”.
Molti dettagli della vita dei due scrittori sono reali, tra cui la loro parentela acquisita (il fratello di Collins sposò una delle figlie di Dickens) così come è realistico il ritratto della Londra più sporca e più cupa, a contrasto con gli sfarzi della classe benestante dell’epoca. Vivissimo e avvincente è il ritmo con cui Simmons intesse l’ “oltremondo” in cui vive Drood, a cui si accede attraverso cimiteri, fumerie d’oppio, vicoli malfamati: una specie di Corte dei Miracoli, una schiera di scarti della società che sembrano infettare pian piano Londra come un morbo, penetrando quell’immagine di gelido perbenismo e progresso.
I crimini di Drood sono sanguinosi e d’effetto, ma riecheggiano il sapore dei vecchi film horror in bianco e nero, per cui pur non scarseggiando di truculenza mantengono un fascino elegante ed elaborato, a cui si somma quella componente d’incubo che spesso stende un velo d’incertezza e fa dubitare se il tutto non accada solo nella mente dei protagonisti, come frutto delle loro ossessioni e dei loro abusi. Drood è un personaggio tagliente e pomposo, che richiama alla mente il Fantasma dell’Opera così come lo rappresentò Lon Chaney, e nonostante la sua malvagità, come i migliori cattivi che si rispettino, esercita un’attrazione quasi ipnotica.
Splendidi anche ritratti sia di Dickens come profeta della letteratura, sia di Collins come mediocre scrittore il cui genio esplode solo grazie a Drood, che si fa quindi anche metafora del talento sregolato tanto caro a una frangia artistica di quello stesso secolo, nonché ai primi romantici che proprio in Inghilterra ebbero patria. Il rapporto tra i due scrittori è tratteggiato come un continuo incontro e scontro, la loro rivalità, non solo letteraria, accresce la tensione di quest’opera in cui fino alla fine non ci sono schieramenti definiti.
“Drood” racchiude il piacere di una lettura avvincente e d’evasione, ricca di pathos e colpi di scena, con una ricerca storica accurata e un background assolutamente convincente. Sicuramente un’opera che nel genere horror-thriller di tipo storico si distingue per l’originalità e non si limita a riproporre episodi d’ispirazione più o meno fantasiosa, ma affonda a piene mani nelle paure di un’epoca, distillandone il fascino per divertire ancora.
About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.
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