In the market, pur con i suoi limiti, trasuda amore, passione e voglia di raccontare cinema su grande schermo quando ormai tutto va nel piccolo.
David, Sarah e Nicole sono tre ragazzi in viaggio, diretti al concerto dei GTO. Durante una sosta ad una stazione di servizio, i tre vengono rapinati. Senza soldi, affamati e in prossimità della notte, i ragazzi decidono di nascondersi nei bagni di un supermarket in modo da uscire una volta che il negozio sarà chiuso. L’iniziale euforia dei tre verrà presto ridimensionata dalla presenza nel negozio di un uomo, l’addetto al banco macelleria, che di notte è solito preparare i tranci di carne che di giorno vengono esposti sul suo bancone…tranci di carne umana!
Se i film si facessero solo con le buone intenzioni In The Market sarebbe un capolavoro, ma purtroppo così non è. Non fraintendetemi l’opera seconda del giovanissimo Lorenzo Lombardi (classe 1986) non è da buttare via, ma a visione ultimata lascia quel classico sapore in bocca amarognolo di delusione. Eppure il film ha fascino, un’ambientazione eccezionale, la trovata grandiosa di azzerare il luogo della vicenda in un non luogo (l’Umbria come il Texas), una violenza (verbale, fisica, psicologica) che non sfocia mai nel sadismo gratuito di tanti torture porn, e poi tensione,tanta da tagliarla col coltello.
Poi naturalmente c’è lui, quel mostro di Ottaviano Blitch, che se lo vedi dal vivo non ci credi come sia riuscita una persona tanto dolce ad essere così atrocemente crudele, con quelle smorfie da bestia ingorda che ti lasciano un certo disagio, e poi il continuo suo cambiare registro passando dal tranquillo all’esagitato, dal pianto al riso più sfrontato. Ma il problema è un altro e più grave: possiamo passare sopra citazioni cinematografiche tanto insistite da apparire compitino del Dams quando vorrebbero essere tarantiniane, possiamo passare sopra a un film che nel finale si autocastra senza avere neppure quello sfogo splatter (pur con gli effetti di Sergio Stivaletti) che la vicenda richiedeva, ma non possiamo passare sopra ad attori cagneschi (Blitch a parte s’intende). Il fulcro della vicenda, alla base di una sceneggiatura che vive di dialoghi lunghi e concitati, dovrebbe essere la buona recitazione: che strazio quando una scena che in un mondo perfetto avrebbe avuto i tempi della commedia brillante diventa una cosa impresentabile e terribile sotto la dizione sbagliata e l’impaccio di protagonisti lontano km e km dall’essere in parte.
Non serve sfoggiare premi vinti per le migliori interpretazioni: il film anche sotto l’occhio innocente dello spettatore medio, quello che va al cinema per sacrosantoddio divertirsi, è carente proprio sotto questo punto di vista. E’ un castello che cade e si distrugge nel ricordo ogni cosa buona: Feuerbach e il suo “Noi siamo quello che mangiamo” con tanto di critica alla società consumistica, Plauto e il suo “Homo homini lupus”, le cabine Telecom dove fare il 911 al posto del 113, le scritte inglesi che si confondono con l’italiano come un quadro surrealista, la radio che trasmette in messicano mentre l’ombra del Twitty Twister è lì a due passi e naturalmente un occhio dietro la macchina da presa valido e promettente.
In the market, col suo audio potente e la fotografia che grida una dignità oltre il cinema indie, è un esempio per riflettere come non sono i miliardi a dare le idee, ma anche uno spronare tutti i Lombardi che seguiranno quest’opera a non restare in panciolle perchè si può e si deve fare di più. Certo è un lavoro noioso curare meglio i dettagli, ma resta il passaggio obbligato da amatoriale a film professionale, come una tappa necessaria nella crescita artistica di un autore. E noi crediamo in Lorenzo Lombardi perchè In the market, pur con i suoi limiti, trasuda amore, passione e voglia di raccontare cinema su grande schermo quando ormai tutto va nel piccolo.
httpv://www.youtube.com/watch?v=0XdshDn0Bmo
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.
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ago 12, 2011Posted By
HanryIo invece direi che è tutto da buttare via..Mai visto una cosa più brutta e demenziale in vita mia…
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ago 12, 2011Posted By
Andrea LanzaE’ un prodotto certamente imperfetto, con una recitazione imbarazzante e forzature di sceneggiatura, ma non me la sento di bocciarlo in toto. C’è passione, una buona regia, l’idea di un non luogo è molto suggestiva e le parti con Ottaviano Blitch sono buone. Certo fa ridere che esca al cinema, ma non è che per esempio il tanto osannato at the end of the day sia poi Stanley Kubrick. Un Il bosco fuori per esempio lo trovo peggiore di questo lavoro tutto sommato onesto.