Il Julian Grant regista deve essere uno di quelli che quando non sanno più che pesci pigliare la buttano sul bianco e nero, o sul vintage in generale.
In un mondo post apocalittico che ha visto la tecnologia e la scienza rivolgersi contro l’uomo stesso riportandolo a una condizione di vita semi-selvaggia, un nuovo, misterioso virus ha trasformato buona parte degli uomini in bestie affamate di carne umana.
Colpito dal virus ma determinato a non perdere quel barlume di umanità ancora presente nel proprio essere, un uomo (Brian Shaw) vaga senza sosta in quella desolazione alla ricerca di cibo per il figlio neonato, anch’egli infetto. Nel suo girovagare salva una donna da un assalto di predoni: i due decidono così di partire insieme alla ricerca di un nuovo inizio, qualcosa in grado di garantire una speranza a loro e un futuro al bambino…
Dando una rapida occhiata al più e meno recente curriculum registico di Julian Grant, altrimenti impegnato da quasi una ventina d’anni nei più disparati panni della filiera produttiva cinematografica con particolare predilezione per la produzione, sono due le verità che vengono prepotentemente a galla : la prima è che il nostro ha eletto lo short movie come proprio formato prediletto, struttura ideale per dare concretezza a idee tanto fulminee quanto non troppo sviluppabili sulla lunga distanza; la seconda è che il Julian Grant regista deve essere uno di quelli che quando non sanno più che pesci pigliare la buttano sul bianco e nero, o sul vintage in generale, trucchetto immortale e facile facile che ricorre spesso nella sua produzione – reso ancora più immediato dalla rivoluzione digitale – capace di conferire istantaneamente una personalità preconfezionata a un comparto estetico altrimenti tutto da inventare: a giudicare dagli esiti di The Defiled, non si potrà certo accusare il nostro Grant di incoerenza con quanto fatto in passato.
Di supponenza forse, convinto come dev’essere stato di riuscire a propinarci senza colpo ferire uno soggetto che sarebbe scarso di contenuti anche per un corto, dilatato all’infinito in un’ interminabile ora e mezza di totale nulla narrativo incorniciato in un black&white virato sui pallori polari del ciano, del tutto privato di alcuna forma di dialogo che vada oltre il convinto grugnire di uno zombesco Brian Shaw dopotutto efficace e suggestivo nell’essenziale make up per sottrazione studiato in funzione dell’estrema povertà di mezzi. Shaw dev’essersi forse persuaso che potesse bastare buttarla sul classico e convenzionale post-atomico a metà tra l’urbano e il rurale per portare a casa la pellicola: il dubbio che queste forti scelte di campo possano sottendere a una qualche pretesa sperimentale – ad accompagnare la pellicola il regista cuce una colonna sonora di carattere, persistente e ubiqua che quasi sembra volersi sostituire ai dialoghi come arbitro del mood della vicenda – finisce in vacca al minuto quindici del ramingo girovagare dei nostri protagonisti, quando spietatamente la palpebra inizia a calare, cresce il timore che nulla interverrà a dare una pur minima scossa, e prende corpo la certezza che di sperimentale ci sia solo una qualche nuova forma di sfida all’umana sopportazione.
Scarsa considerazione del senso critico del proprio pubblico o tentativo tragicamente fallito di riproporre senza il becco di un quattrino l’accoppiata post-atomico/zombie movie appesantita dalle pretese artsy del regista, poco importa: evitatelo come la peste, chè pure per indurre il sonno esistono metodi infinitamente più divertenti.
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About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.