Soddisfatto dagli esiti dell’esordio, il nostro ha nei fatti mantenuto del tutto inalterato il proprio immaginario stilistico di riferimento anche per la sua seconda fatica dietro la macchina da presa.
Inspiegabili apparizioni sembrano succedersi sempre più frequenti nella vita del convalescente Jeff (Cary Elwes), unico superstite del terribile incidente d’auto in terra thailandese che gli ha portato via la compagna e l’amato figlioletto.
Assistito dall’amorevole infermiera Mae Noi (Liz Brunette) Jeff scoprirà che l’unico modo per liberarsi dai propri demoni sarà intraprendere un pericoloso viaggio all’interno del misticismo locale, lungo la sottilissima linea che divide il regno dei vivi da quello dei morti…
Nato sceneggiatore alla corte di Brian Yuzna – è sua la co-sceneggiatura de Il Ritorno dei Morti Viventi 3 – John Penney ha esordito in cabina di regia nel 2006 con il thriller Zyzzyx Rd., piazzandosi immediatamente su quei binari tanto tranquillizzanti quanto prevedibili del thrilling che più convenzionale non si potrebbe, fedele ripropositore fuori tempo massimo degli stilemi del genere in salsa yankee anni ’80. Evidentemente soddisfatto dagli esiti dell’ esordio, il nostro ha nei fatti mantenuto del tutto inalterato il proprio immaginario stilistico di riferimento anche per la seconda fatica dietro la macchina da presa con l’unica differenza che questa volta, abbandonata l’adrenalina metropolitana degli esordi, il buon John ha provato a dire la propria sul genere della ghost story, dando alla luce anche questa volta un lavoro che sembra girato nella seconda metà degli anni ’80 e lasciato a decantare in qualche dimenticato cassetto quella ventina d’anni necessari affinché tornassero di moda un certo immaginario e un certo tipo di suggestioni, con quella spolverata di presunta modernità che nelle intenzioni dei creatori vorrebbe forse bastare come garanzia di freschezza.
Modernità che poi tanto recente non è, se si riduce al conferire l’estetica e il nevrotico mood fuori tempo massimo dell’immaginario fantasmesco giapponese alla The Grudge e compagnia scattante alle apparizioni un tanto al chilo che infestano la quotidianità di un Cary Elwes (Saw, Twister) tristemente bolso e spudoratamente minimo sindacale per tutta la prima metà della proiezione, dove l’ultraconvenzionale Penney tesse senza alcuno spasmo di originalità la base narrativa di quello che sarebbe dovuto essere il pezzo forte, e ancora una volta fortemente eighties, della sua proposta: la fascinazione per un sud est asiatico misterioso e intrigante e il viaggio nei meandri di una non meglio definita spiritualità esotica come metafora del percorso personale del protagonista alla ricerca della soluzione ai propri personali demoni, condotto con la grinta di un condannato a morte da un pigmalionico e stancamente ascetico William Hurt (Gorky Park, The Village). E’ mortificante vederlo coinvolto in tale spreco di tempo e risorse tanto quanto rendersi conto di come, con spaventosa sistematicità, succeda esattamente quello che ci si sarebbe aspettati nell’esatto momento in cui ce lo si sarebbe aspettati, secondo un dono di preveggenza reso possibile dalla visione di decine di film che con Shadows condividono lo stesso, avvilente canovaccio: pellicole stanche e retoriche che si trascinano senza alcuna respiro vitale che non sia quello più dozzinalmente commerciale verso finali precotti e telefonati, fingendo di avere qualcosa da dire e da raccontarci, cristallizzate nel tempo e ancorate a epoche passate fisiologicamente superate e archiviate.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.