Eisener ha finalmente concesso al progetto Grindhouse l’occasione di dar vita a pellicola che è dall’inizio alla fine un urlo sguaiato e liberatorio in cui riconoscere brandelli di quella lingua essenziale e chiarissima che solo i film il cui titolo è in grado di sintetizzarne l’intero contenuto sanno parlare.
Dopo anni passati a girovagare senza sosta nè costrutto, l’hobo aveva finalmente capito che fare della propria vita: avrebbe comprato quel bel tagliaerba di seconda mano intravisto in una vetrina di un negozietto di Scumtown, ultima tappa della sua esistenza raminga e solitaria.
Non che non avesse ancora capito che aria tirava in quello sporco angolo di America dimenticato da dio: in mano alla famiglia di psicopatici capitanato dal boss Drake, Scumtown è l’avanguardia dell’inferno sulla Terra, selvaggia terra di nessuno dove l’omicidio è fantasiosa quotidianità e speranza e tranquillità sono pallidi ricordi di cui ridere sguaiatamente. Ma l’ennesima violenza subita dall’innocente prostituta Abby fa accendere nel cuore del barbone un calore nuovo, qualcosa che puzza dannatamente di vendetta e giustizia sommaria. A quel punto il tagliaerbe può aspettare: soprattutto se al suo fianco langue senza padrone un fucile a pompa che sembra non aspettare altro che qualcuno lo riconsegni al ruolo per cui è stato creato…
Jason Eisener è solo apparentemente una delle tanti carneadi cui il progetto Grindhouse del duo Tarantino/Rodriguez ha concesso nel 2007 l’occasione di cimentarsi nel proprio personalissimo fake trailer d’expolitation d’annata: il fatto che abbia vinto concorso e occasione di sviluppare in una pellicola vera e propria l’embrione di Hobo With a Shotgun sembra piuttosto essere l’ennesimo capitolo di una crescita evidente e costante, iniziata addirittura nel 2005 con l’esordio The Teeth Beneath, proseguita con l’ottimo corto Treevenge nel 2008 e culminato con la vittoria del suddetto celebre concorso, che ha finalmente concesso al tanto pubblicizzato progetto Grindhouse l’occasione di uscire dai – pur validi – esercizi di stile retrò dei suoi celeberrimi promotori per entrare nella testa e nel cuore di un ragazzone che nel cinema di genere deve averci sguazzato non poco nel corso di questi anni e uscirne rigenerato e purificato, impresso su una pellicola che è dall’inizio alla fine un urlo sguaiato e liberatorio in cui riconoscere brandelli di quella lingua essenziale e chiarissima che solo i film il cui titolo è in grado di sintetizzarne tutto il contenuto sanno parlare. Girato in glorioso e filologico Technicolor, Hobo with a Shotgun è spudoratamente vestito di una fotografia scelorita e fluo, eccessiva e spesso senza alcun senso logico apparente ma assai funzionale nel riuscire a riproporre con soluzioni nuove una certa estetica che, giusto per ribadire le proprie radici, guarda senza vergogne a Street Trash e compagnia fluorescente. Quella di Eisener è una regia nervosa e anfetaminica, eppure attentissima a non scadere nelle facili logiche videoclippare tanto in voga nell’ultimo lustro, capace di risultare efficacissima nel dare un ritmo vertiginoso e esageratamente adrenalico alla vicenda senza perdere un minimo di personalità: un ritmo che l’Eisener sceneggiatore, ben conscio dei rischi in cui avrebbe potuto incappare affidandosi a un plot tanto essenziale, mette completamente in mano al mucchio selvaggio di protagonisti che ha gettato nella polvere di Scumtown.
Innanzitutto l’eccezionale e divertitissimo hobo di Rutger Hauer, laconico e scafato abitante della strada che altro non è che l’eroe solitario dei western passato nel mutageno tritacarne della più infima pop culture degli eighties, mattatore – quasi – unico di una scena condivisa con personaggi accomunati da un senso dell’eccesso che in ognuno trova una personale realizzazione: dalla coppia di psicopatici fratelli Drake, brutali figli del boss in Ray Ban e giacca della squadra di football, alla coppia di cacciatori di taglie chiamata The Plague, sorta di indistruttibili cavalieri post-atomici il cui covo ospita bizzarre creature tentacolari, la cui esistenza e discesa in campo hanno un che di splendidamente non sense quanto di assolutamente risolutivo nell’economia di una pellicola che per scelta di campo può permettersi di buttare nella mischia chiunque gli occorra in qualunque momento senza colpo ferire. Lasciato il campo a soggetti del genere, Eisener non si fa mancare nulla: da un intero scuolabus zeppo di bambini che viene dato alle fiamme mentre due enormi ghettoblasters urlano a squarciagola i Bee Gees, a clochard raccolti in container e schiacciati da ruspe in dilaganti esplosioni di emoglobina ai Babbi Natale pedofili, tutto è una goduta e liberatoria cavalcata in quell’eccesso appena condito di politicamente scorretto che spinge la vicenda verso la tanto attesa sfida all’OK Corral affogato nell’immondizia tra l’hobo e il villain Drake.
Il maggior merito del regista è senza dubbio l’aver dimostrato un’assoluta capacità di gestire a proprio piacimento il gusto per l’eccesso visivo e narrativo secondo le regole di una scuola che solo un attentissimo, libero e creativo fan del genere avrebbe potuto ammodernare con tale abilità da fare in modo che non andasse perduta una sola unghia dello spirito fondante dell’exploitation, con buona pace di sfarfallii di montaggio, bolsi purosangue all’ultimo giro di giostra e pellicole sbrecciate in digitale. Perché il pur divertente quanto paradossale Machete è per costituzione un parodistico revival d’exploitation progettato per piacere ed entusiasmare chi un certo tipo di cinema l’ha sempre guardato dall’alto in basso, un’attrazione da circo con cui divertirsi con compiacimento paternalistico riservata a quei tanti che di quella roba si sporcheranno le mani giusto il tempo di una visione imposta dal suo status di monthly big thing , salvo poi ricominciare a disprezzare con annoiata spocchia tutto quanto arrivi da determinati circuiti e tradizioni cinematografiche. Hobo with a Shotgun va invece nella direzione opposta, a riempire quel buco che i lavori dei grandi non sono riusciti del tutto a colmare, fisiologicamente compromessi come sono con le istanze dell’Industria: puro, cinematograficamente cosciente e liberissimo divertimento, diretto e immediato come solo un barbone con un fucile a pompa e una città da ripulire dall’immondizia è stato in grado di essere.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.